Sulla distinzione tra somministrazione (illecita) di manodopera e appalto: il Tribunale di Modena torna sul rapporto tra proprietà dei mezzi e genuinità dell’appalto

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Bollettino ADAPT 22 luglio 2024, n. 29
 
Con sentenza datata 7 marzo 2024, n. 180, il Tribunale di Modena ha ribadito che, ai fini della valutazione dell’effettiva genuinità di un contratto di appalto, è rilevante anche la proprietà e l’effettiva disponibilità giuridica dei mezzi utilizzati dall’appaltatore. In particolar modo, ai fini della distinzione tra somministrazione (illecita) di manodopera e appalto rileva anche che i macchinari e le attrezzature del committente – necessari per l’esecuzione dell’opera o del servizio esternalizzato – siano concessi all’appaltatore, per il tramite di un contratto di locazione privo, tuttavia, dell’indicazione del quantum da destinare al locatore.
 

Per giungere a tale conclusione, nell’analizzare i fatti in causa e la legittimità della pretesa dei lavoratori ricorrenti, formalmente dipendenti della società appaltatrice e richiedenti una riqualificazione del rapporto di lavoro in capo al committente (in ragione della presunta assenza di genuinità dei diversi contratti di appalto susseguitisi negli anni), il Tribunale assume quale punto di partenza la formulazione dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276/2003. Ciò al fine di ricordare, innanzitutto che, per poter distinguere tra appalto e somministrazione irregolare di lavoro, è necessario valutare se, nell’ambito dell’esecuzione del primo, l’appaltatore stia assumendo o meno il rischio di impresa derivante dal servizio o dalle opere appaltate e la direzione/organizzazione del personale impiegato nelle lavorazioni.
 
In particolare, viene evidenziato, tale ultimo fattore risulterà carente qualora l’appaltante-interponente, non solo organizzi, ma diriga anche i dipendenti dell’appaltatore, residuando sulla società interposta (l’appaltatrice) solo compiti di gestione amministrativa del rapporto, senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa.
 
A sostegno di tale argomentazione, il Tribunale di Modena richiama consolidata giurisprudenza della Cassazione, secondo cui «in tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. “labour intensive”), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa, dovendosi invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest’ultimo, l’ “intuitus personae” nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro» (cfr. ex multis, Cass. 12551/2020).
 
Principio di diritto ulteriormente avvalorato dalla posizione, sempre stabilita dalla Suprema Corte e richiamata dal Tribunale di Modena a fini argomentativi, secondo cui, una volta che sia stata accertata l’eventuale estraneità della società appaltatrice nell’organizzazione e direzione del personale impiegato nell’esecuzione del servizio o dell’opera appaltata, appaia del tutto ultronea una possibile valutazione circa la sussistenza di un rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo, in capo all’appaltatore stesso. Così come a nulla rilevi che l’impresa a cui il servizio sia stato esternalizzato sia effettivamente operante nel mercato, atteso che, se la prestazione lavorativa risulta essere etero-diretta ed etero organizzata dal committente, per tale solo elemento l’appalto debba considerarsi non genuino (cfr., Cass. 11720/2009; Cass. 17444/2009).
 
Chiarita tale ineludibile considerazione preliminare, afferente agli indici di genuinità del contratto di appalto riconducibili all’autonomia organizzativa dell’appaltatore e all’assunzione – da parte di quest’ultimo – del rischio di impresa connesso alle lavorazioni, la sentenza oggetto della presente analisi si concentra, a seguire, sul tema – connesso ai richiamati fattori – relativo all’autonoma organizzazione dei mezzi necessari, di cui la società affidataria delle lavorazioni esternalizzate deve necessariamente disporre. A tal riguardo, richiamando Cass. 18455/2023, il Tribunale di Modena non ha mancato di attenzionare, in quanto strettamente afferente al caso oggetto di controversia, come «in tema d’interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dall’art. 1 della l. n. 1369 del 1960, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore». Ne deriva, pertanto, che, a detta della Suprema Corte, «la sussistenza o meno della modestia di tale apporto, e quindi la stessa reale autonomia dell’appaltatore, deve essere accertata in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto; con la conseguenza che – nonostante la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell’appaltante – l’anzidetta presunzione legale assoluta non è configurabile ove risulti un rilevante apporto dell’appaltatore, mediante il conferimento di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), “know how”, “software” o altri beni immateriali, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto». A tal fine, viene precisato, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, mentre in appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali, c.d. “pesanti”, il requisito dell’autonomia organizzativa deve essere calibrato se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, negli appalti c.d. “leggeri”, in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nella prestazione di lavoro, è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti.
 
Valutate pertanto tali necessarie premesse in merito agli indici di legittimità giuridica di un contratto di appalto, la sentenza in esame prosegue ricordando come l’onere della prova circa la genuina esistenza di un rapporto di intermediazione di manodopera incomba sulle parti datoriali. In altri termini, pertanto, come anche statuito da Cass. 29889/2019, è onere del datore di lavoro, sia quello formale che sostanziale, dimostrare la sussistenza di una genuina intermediazione di manodopera (che consista in un contratto di appalto di servizio ovvero in un contratto di somministrazione). Onere probatorio il cui assolvimento presuppone necessariamente la produzione in giudizio degli accordi intercorrenti tra committente e appaltatore.
 
Nel caso di specie, il Tribunale di Modena attenziona come, pur essendo rifluiti in atti formali i contratti di appalto, tale onere non sia stato assolto dalle parti. In particolare, la tesi argomentativa proposta attenziona come oggetto dei richiamati contratti fossero il montaggio e l’assemblaggio di pezzi meccanici, il confezionamento e l’assemblaggio di prodotti, lo svolgimento di lavorazioni meccaniche su specifici macchinari oltre che la pulizia e la manutenzione ordinaria di dette attrezzature. Tutti servizi che, per loro natura, richiedevano l’utilizzo di specifiche attrezzature ad hoc, senza le quali sarebbe stata impossibile la realizzazione a regola d’arte delle attività esternalizzate.
 
Proprio sul punto, dall’analisi della documentazione prodotta dalle parti, è emerso come i macchinari necessari per la realizzazione delle opere e dei servizi commissionati fossero messi a disposizione dal committente, per il tramite di un contratto di locazione a vantaggio dell’appaltatrice. Come logica conseguenza di un simile modello organizzativo, proprio in ragione della tipologia di attività esternalizzata e dell’essenzialità dei macchinari richiamati per la realizzazione dei servizi commissionati, il Tribunale di Modena, richiamando e ripercorrendo proprio la giurisprudenza espressasi in materia, è giunto alla conclusione che l’apporto fornito dall’appaltatore potesse considerarsi del tutto marginale, in quanto tradotto nella mera fornitura di manodopera e di energie lavorative.
 
Ad avvalorare tale tesi, prosegue poi la sentenza in esame, anche il fatto che la società incaricata del servizio non avesse mai provveduto, nel corso degli anni di vigenza dei richiamati contratti di appalto, a fornire ulteriori apporti quali, a mero titolo esemplificativo, uno specifico know how, software appositi per l’esecuzione del servizio o dell’opera e, in generale, beni immateriali a qualsiasi tipo funzionali a perseguire il risultato atteso per il tramite dei contratti siglati con il committente.
 

In conclusione, con specifico riferimento alla tematica in oggetto, il Tribunale di Modena ha., pertanto, ritenuto di poter affermare che l’insieme delle descritte circostanze di fatto consentano di ritenere perfezionata quella fattispecie presuntiva legale circa la mancata genuinità dei contratti di appalto in discussione per assenza di qualsiasi soggettività giuridica in capo all’appaltatrice/formale datrice di lavoro, per le predette e ricordate ragioni.
 
A tal proposito – e a conferma della tesi argomentativa sostenuta dal Tribunale – viene altresì ricordato come, oltre alla mancata proprietà di macchinari indispensabili per realizzare l’oggetto dell’appalto, debba poi dubitarsi anche della effettività dei contratti di locazione sulla cui scorta l’appaltatrice deteneva i beni delle committenti succedutesi nel tempo. E tanto per non esservi, nel testo contrattuale, alcuna indicazione né diretta e nemmeno indiretta (e non sono stati offerti nemmeno ulteriori riscontri sul punto in corso di giudizio) circa il prezzo del canone di locazione, elemento essenziale del contratto in discussione.
 
In aggiunta a tali considerazioni, che costituiscono peraltro il cuore della ricostruzione della sentenza in esame, il giudice non ha altresì mancato di evidenziare, nell’ambito del proprio percorso argomentativo, come anche ulteriori elementi – riconducibili ai contratti di appalto oggetto di analisi – abbiano contribuito alla dichiarazione di assenza di genuinità del modello organizzativo adottato tra le parti.
 
Su tutti, grande rilievo hanno ricoperto, in primo luogo, il regime di mono-committenza della società appaltatrice e, secondariamente, anche le modalità di calcolo dei corrispettivi le quali, a seguito di analisi in sede di giudizio, sono risultate ampiamente condizionate dal costo del lavoro sostenuto proprio dalla società appaltatrice stessa, con conseguente elisione della sussistenza del rischio di impresa in capo a quest’ultima.
 
In conclusione, per il tramite della sentenza in esame, il giudice di primo grado ha ribadito l’essenzialità degli indici di genuinità di un contratto di appalto, riassumibili nella presenza di autonomia organizzativa e gestionale del personale in appalto, autonoma organizzazione dei mezzi necessari e assunzione del rischio di impresa, da parte dell’appaltatore. E proprio con specifico riferimento al tema dell’organizzazione dei mezzi necessari, non ha mancato di ribadire l’importanza che, anche qualora i mezzi non siano di proprietà dell’appaltatore stesso, bensì forniti dal committente, dirimente sarà la valutazione della sussistenza di un effettivo titolo giuridico tra le parti, che legittimi l’utilizzo di tali attrezzature (locazione, comodato, noleggio etc.). Parallelamente, indispensabile, sarà poi dimostrare che i mezzi stessi, per tutta la durata del contratto, siano nella piena disponibilità giuridica dell’appaltatore stesso e che, contestualmente, al dì là dell’effettiva titolarità delle attrezzature, vi sia un rilevante apporto da parte dell’appaltatore stesso, nell’ambito dell’esecuzione dell’opera o del servizio esternalizzato.
 
Irene Tagliabue
Ricercatrice ADAPT Senior Fellow

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