Sull’opportunità della revisione della Direttiva EWC: il parere del CESE

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Bollettino ADAPT 10 giugno 2024, n. 23
 
I Comitati Aziendali Europei (di seguito “CAE”) sono uno strumento consultivo e informativo che assicura il coinvolgimento dei lavoratori sulle decisioni di rilevanza transnazionale adottate dalle imprese o gruppi di imprese con più di 1000 dipendenti e operanti in almeno due paesi UE o SEE, introdotti nella legislazione europea dalla Direttiva 94/45/CE, successivamente revisionata dalla Direttiva 2009/38/CE. Sin dagli anni ’90 è risultato evidente, infatti, come un’informazione significativa e la consultazione dei dipendenti nelle scelte chiave delle aziende multinazionali possano aiutare ad anticipare e gestire i cambiamenti, le trasformazioni, le ristrutturazioni e le riconversioni.
 
In questo contesto, e proprio a partire dalla crescente importanza del coinvolgimento di tutti i portatori di interesse nei processi decisionali legati ad esempio alla transizione verde e digitale, ovvero alla carenza di manodopera o l’introduzione di nuove tecnologie, lo scorso 24 gennaio la Commissione Europea ha pubblicato la nuova proposta di revisione della Direttiva del 2009, con il fine di rafforzare il ruolo dei CAE, facilitandone la creazione, favorendo informazioni e consultazioni più significative e garantendo l’efficacia della loro attività nonché prevedendo eventuali sistemi sanzionatori in caso di mancato rispetto delle disposizioni e dei diritti riconosciuti (sul tema si veda E. Ligas,  La Direttiva sui Comitati Aziendali Europei: una revisione all’insegna del dialogo sociale, in Bollettino ADAPT, 4 marzo 2024).
 
Se la proposta della Commissione è ora in discussione presso il Parlamento Europeo, non sono mancati interventi delle altre istituzioni europee al riguardo, fra cui il Parere del Comitato Economico e Sociale Europeo (di seguito “CESE”) di fine maggio, nel quale il CESE si è occupato di formulare una valutazione e fornire raccomandazioni sulle questioni ancora non risolte della proposta, per garantire che la stessa abbia concreti effetti in merito al ruolo dei CAE, quali strumenti di dialogo sociale atti a promuovere la condivisione delle scelte e, allo stesso tempo, proteggere la produttività e la qualità dell’occupazione delle imprese.
 
In primo luogo, il CESE affronta il tema dei destinatari delle normative riguardanti i CAE. Considerando la situazione attuale e i riscontri forniti dalle imprese in cui tali comitati sono presenti e operativi, si afferma come non sia necessario estendere obbligatoriamente tutte le modifiche introdotte in materia ai CAE attualmente esenti dalla normativa, ovvero quelli istituiti e operanti in virtù di accordi volontari conclusi prima della direttiva originaria sui CAE (94/45/CE) o conclusi o rivisti durante il periodo transitorio (giugno 2009 – giugno 2011) successivo all’adozione della direttiva rifusa sui CAE (2009/38/CE). Difatti, nei casi in cui non emergano incertezze giuridiche e qualora non venga ostacolata un’efficace informazione e consultazione nelle imprese, il CESE invita la Commissione a non imporre nuovi obblighi alle imprese, poiché ciò potrebbe compromettere la competitività e aumentare, piuttosto che ridurre o chiarire, gli obblighi normativi. L’obiettivo della direttiva è infatti la promozione e l’incentivazione del corretto funzionamento dei CAE, obiettivo che deve essere perseguito sia attraverso l’uniformazione delle discipline, sia mediante il supporto all’operato di tutti quei CAE che risultano essere efficaci. Nella stessa prospettiva, il CESE raccomanda, inoltre, di estendere l’ambito di applicazione della direttiva modificando la definizione di “impresa controllante”, in modo da includere anche le società che vendono beni o prestano servizi tramite contratti di franchising o di licenza, così garantendo l’applicazione della proposta anche al di là dei confini della singola azienda.
 
Sempre con riferimento al tema dei destinatari, un’altra questione di grande importanza è la nozione di “carattere transnazionale” contenuta nella proposta. La formulazione presume, infatti, il “carattere transnazionale” non solo nei casi in cui è ragionevole supporre che le misure considerate dalla direzione incidano sui lavoratori in più di uno Stato membro, ma anche nei casi in cui, sebbene le misure interessino solo i lavoratori di uno Stato membro, è ragionevole supporre che le conseguenze di tali misure incidano anche su coloro che sono impiegati in un sito produttivo di un altro paese. È proprio l’estensione della nozione, secondo il CESE, che permette l’inclusione nell’ambito di applicazione della direttiva di un maggior numero di imprese con una dimensione transnazionale, conseguentemente contribuendo ad aumentare il numero dei CAE e l’attuazione di tali organismi e delle loro prerogative in tutti i settori.
 
Sulla questione, è opportuno evidenziare come invece alcuni membri del CESE si siano dichiarati contrari a tale disposizione, evidenziando come quanto previsto possa creare una grave incertezza giuridica, con il rischio di sovrapposizioni tra i processi di informazione e consultazione nazionali e transnazionali, portando inoltre ad analizzare un maggior numero di decisioni di gestione puramente nazionali delle imprese, anziché concentrarsi sui casi realmente transnazionali. Similmente, si è espresso con riferimento alla nozione di “impresa controllante”, richiamando ancora una volta l’eventualità che la proposta ampli inutilmente la portata della normativa, appesantendo i processi e creando ulteriori incertezze giuridiche.
 
In secondo luogo, il parere del CESE si occupa dei temi di informazione e consultazione. Innanzitutto, riconosce come sia necessario ampliare l’elenco dei temi coperti dalle attività di informazione e consultazione dei CAE. È, difatti, evidente come l’esperienza pratica del loro lavoro suggerisca uno spettro più ampio di materie su cui è necessario che il CAE possa esercitare i propri diritti, fra investimenti, formazione, salute e sicurezza,  protezione dei dati e transizione ecologica, temi quanto più centrali nelle trasformazioni in atto nelle imprese e nelle società. Allo stesso modo, secondo il CESE, gli stessi CAE, al pari delle aziende, dovrebbero essere attribuiti della facoltà di proporre autonomamente temi di rilevanza su cui esercitare i diritti di informazione e consultazione, così da affrontare le peculiarità specifiche di ciascuna impresa in cui operano.
 
Sempre sul tema, il CESE conferma invece l’utilità dell’obbligo per la direzione aziendale di informare i CAE riguardo ai motivi che giustificano la riservatezza delle informazioni condivise, permettendo così ai rappresentanti dei lavoratori di svolgere efficacemente il loro ruolo, anche in relazione alla possibilità di condividere informazioni con i sindacati nazionali o locali, e/o con i rappresentanti dei lavoratori. In aggiunta, proprio al fine di garantire processi di informazione e consultazione efficaci, il CESE accoglie con favore la disposizione di cui all’art. 9 della proposta che stabilisce che il processo di consultazione debba permettere ai rappresentanti dei lavoratori di esprimere un parere prima che venga presa una decisione sulla misura proposta, e che, prima di adottare tale decisione, la direzione centrale sia tenuta a fornire una risposta motivata al parere espresso. Tale requisito, che peraltro già esiste in numerosi CAE, in ogni caso non pregiudica la responsabilità della direzione aziendale e deve essere soddisfatto entro un termine ragionevole.
 
Anche su questo tema, alcuni membri del CESE ritengono, differentemente da quanto appena affermato, che questo processo sia invece eccessivamente formalistico e oneroso, affermando, a tal proposito, che la direttiva non dovrebbe impedire alle imprese di prendere decisioni entro un termine ragionevole e con la rapidità richiesta dai contesti imprenditoriali, pur sempre avendo rispetto delle procedure nazionali di informazione e consultazione.
 
Altro tema rilevante di cui si occupa il CESE è quello dell’assegnazione di risorse adeguate ai CAE. È, infatti, evidente come, al fine di svolgere efficacemente il loro ruolo, i membri necessitino di formazione nonché della possibilità di ricorrere ad esperti esterni. In ogni caso, pur riconoscendo tale urgenza, il CESE evidenzia come tali esigenze debbano essere tempestivamente notificate alla direzione aziendale, per consentirle di pianificare i costi conseguenti.
 
Il parere si occupa, infine, del tema dell’accesso alla giustizia e delle sanzioni. Apprezzando la proposta della Commissione volta a garantire il fatto che si rafforzi l’obbligo degli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e dunque non pregiudicare l’accesso alla giustizia, il CESE sostiene l’approccio della proposta volto a incentivare sia i meccanismi giudiziari sia le modalità di risoluzione extragiudiziale, fra cui consultazione e mediazione, evidenziando come queste siano parte di sistemi di dialogo sociale ben funzionanti e dunque da incentivare e incoraggiare, e non da contrastare o limitare.
 
Il Comitato Economico e Sociale Europeo invita inoltre la Commissione, al fine di controllare l’effettivo rispetto di tale obbligo, ad avvalersi di ulteriori e nuovi strumenti di monitoraggio e applicazione, quali ad esempio l’istituzione di un apposito gruppo di esperti, composto da rappresentanti delle parti sociali europee, degli Stati membri e della Commissione europea, per sostenere l’attuazione della direttiva. Sempre nell’ottica del principio di sussidiarietà, il CESE appoggia inoltre l’obbligo previsto dalla proposta di lasciare agli Stati membri la competenza di stabilire le sanzioni in modo adeguato e proporzionale, pur evidenziando come le stesse debbano essere efficaci e sufficientemente dissuasive (ad esempio prevendendo la possibilità di attribuire il diritto di richiedere un provvedimento inibitorio che sospenda temporaneamente una decisione dell’impresa fino a quando il processo di informazione e consultazione del CAE non sia stato correttamente espletato, come già previsto in alcuni paesi) ma, allo stesso tempo, tengano in considerazione le dimensioni e la capacità finanziaria delle imprese (anche adottando criteri pertinenti, quali ad esempio il criterio del fatturato globale della compagnia).
 
In generale, dunque, il CESE accoglie con favore la proposta di revisione della direttiva. Pur essendo presenti alcuni membri dello stesso Comitato che sostengono che esista un alto rischio che le modifiche proposte compromettano e complichino significativamente il funzionamento dei CAE, oltre a minare la competitività delle imprese europee (in questo senso potenzialmente disincentivando la diffusione dei CAE e rendendo meno attraente per le imprese multinazionali investire nell’UE rispetto ad altre regioni del mondo), è infatti evidente come le norme della proposta di fatto possano colmare le incertezze e le criticità della disciplina attuale sui CAE, uniformando l’applicazione della stessa in tutte le imprese a carattere transnazionale e garantendo non solo i diritti di informazione e consultazione (nell’ottica di incentivo e sostegno al dialogo sociale) ma anche i diritti di tutti i lavoratori coinvolti.
 

Sara Prosdocimi

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@ProsdocimiSara

Sull’opportunità della revisione della Direttiva EWC: il parere del CESE
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