Telelavoro in Spagna: l’infarto non è infortunio sul lavoro se non si prova che sia avvenuto in orario lavorativo

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Bollettino ADAPT 9 settembre 2024, n. 31
 
Non è da considerarsi infortunio sul lavoro la morte per infarto di una telelavoratrice se non è possibile provare che lo stesso sia avvenuto durante l’orario di lavoro. È quanto emerge da una recente sentenza del Tribunal Superior de Justicia de Madrid, del 27 marzo 2024, i cui giudici, accogliendo il ricorso della mutua assicuratrice Fremap, hanno di fatto ribaltato la decisione del tribunale di primo grado.
 
I fatti risalgono al 21 febbraio 2022, quando la lavoratrice, assunta da Accenture per fornire assistenza telefonica a Fremap in modalità di telelavoro dalla propria abitazione nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì con un orario dalle 9.00 alle 19.00 comprensivo di una pausa di un’ora da svolgersi in maniera flessibile secondo le proprie esigenze, è deceduta per un infarto del miocardio. Il marito della defunta, che aveva presentato domanda all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (in Spagna INSS) di pensione indiretta e di reversibilità, si vedeva negare tale richiesta in considerazione del fatto che, trattandosi di infortunio sul lavoro, il responsabile del pagamento avrebbe dovuto essere Fremap.
 
Il giudice di prima istanza – il Juzgado de lo Social n. 33 de Madrid –, difatti, aveva classificato la fattispecie come infortunio sul lavoro deducendo dalle risultanze dell’autopsia, da cui era emerso che lavoratrice fosse a stomaco vuoto, che l’evento letale fosse occorso durante l’orario di lavoro.
 
Il Tribunal Superior de Justicia de Madrid ha, tuttavia, ritenuto di rigettare questa interpretazione, adducendo a motivazione che l’assenza di alimenti nello stomaco non è di per sé sufficiente a dimostrare che la lavoratrice stesse effettivamente lavorando in quel momento. Viene, dunque, accolta la posizione della mutua assicuratrice Fremap, la quale, nel proprio ricorso, argomentava come in nessun modo il convenuto fosse stato in grado di fornire prova dell’orario di lavoro effettivo della lavoratrice, deceduta, secondo le risultanze dell’autopsia, approssimativamente attorno alle ore 15.00.
 
Non è ammissibile, secondo la posizione di Fremap, ritenere che tutto quel che avviene nel domicilio del telelavoratore debba essere riconducibile alla sfera lavorativa anche quando manchi una relazione effettiva con lo svolgimento del lavoro. A sostegno di quanto affermato, proseguendo con le argomentazioni del ricorrente, basterebbe, peraltro, prestare attenzione al testo di legge che fissa i requisiti per classificare un evento come infortunio sul lavoro – l’articolo 156 della Ley General de la Seguridad Social – e che assegna la medesima enfasi alla necessità che ricorrano, contestualmente, i due fattori del luogo e dell’orario di lavoro.
 
Peraltro, stando ai registri della giornata di lavoro, la lavoratrice, nel giorno del decesso, aveva già prestato la propria attività per la durata di 9 ore, senza specificare la distribuzione delle pause. L’orario di lavoro invernale concordato con l’impresa era di 42,5 ore settimanali, con orario flessibile tra le ore 9.00 e le ore 19.00, e se si considera che la morte è avvenuta attorno alle ore 15.00, deve dedursi che la giornata di lavoro fosse iniziata alle ore 6.00, al di fuori, cioè, dell’orario pattuito.
 
Di conseguenza, a parere dei giudici del Tribunal Superior de Justicia de Madrid, sebbene risultasse provato dall’esame autoptico che la donna quel giorno non avesse consumato alcun pasto, tale dato, tuttavia, non consente di presumere che la lavoratrice in quel preciso momento, attorno alle ore 15.00 del 21 febbraio 2022 e quando perdipiù, stando ai registri informatici, aveva già svolto il totale delle ore giornaliere di lavoro, stesse effettivamente lavorando.
 
Come si legge nella sentenza, la lavoratrice «ben poteva essere in pausa, solitamente dedicata al pranzo, ma non necessariamente, giacché poteva essere impegnata in qualsiasi altro tipo di attività al di fuori del contesto lavorativo, non essendoci la benché minima prova che al momento dell’evento in questione la donna stesse svolgendo un qualche tipo di attività professionale per il proprio datore di lavoro».
 
Di conseguenza, poiché l’applicazione della presunzione che il dato evento si sia verificato sul luogo e durante l’orario di lavoro rappresenta l’unica possibilità per ottenere in giudizio il riconoscimento di contingenza professionale, in assenza, nel caso di specie, di una prova certa che collochi l’infarto durante l’orario di lavoro, l’appello è stato dai giudici accolto.
 
Le argomentazioni del tribunale di secondo grado, tuttavia, non sono state, sufficienti, da più lati, a evitare critiche e suscitare perplessità sulla sentenza in questione. In particolare, ci si è domandato se davvero le condizioni di lavoro del telelavoratore siano equiparabili a quelle dei lavoratori in presenza in punto di protezione e prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
 
Difatti, alla domanda se esistano differenze in relazione alla copertura degli infortuni sul lavoro a seconda che il lavoratore che subisce l’infortunio presti la propria attività in presenza o in telelavoro, la prima risposta che viene in mente, a distanza di anni dalla comparsa di questa forma di organizzazione del lavoro da remoto, della sua regolazione e delle varie sentenze che sono intervenute a chiarire situazioni apparentemente confuse, è che differenze non dovrebbero esservene. Tutti i lavoratori, a prescindere dalla modalità in cui il lavoro viene prestato, devono godere degli stessi diritti e delle stesse tutele.
 
Eppure, secondo alcuni, la sentenza in questione finisce per minare questo principio, se si arriva a considerare una morte per infarto avvenuta alle ore 15.00, in una giornata di lavoro solitamente svolta dalle 9.00 alle 19.00, come verificatasi al di fuori dell’orario di lavoro per il sol fatto di non poter provare che in quel momento si stesse lavorando, finendo così per ritorcersi contro il lavoratore stesso – e la famiglia che a lui sopravvive come nel caso di specie – quella flessibilità concessa con il lavoro da remoto.
 
Non a caso, non mancano nella giurisprudenza spagnola casi simili in cui i giudici hanno deciso diversamente, come ad esempio, per citarne uno, la sentenza del Tribunal Superior de Justicia del País Vasco n° 1075 del 15 settembre 2020, in cui la presunzione relativa al verificarsi dell’evento in ambito lavorativo è stata riconosciuta, con conseguente classificazione dell’infarto occorso durante il telelavoro come infortunio sul lavoro.
 
Si legge testualmente nella sentenza che «(…) nonostante il fatto che l’attività svolta da casa dal lavoratore deceduto non fosse “preponderante”, nei termini richiesti dall’articolo 13 dell’Estatuto de los Trabajadores per la configurazione del “lavoro a distanza”, è assodato che almeno una parte di quelle mansioni fossero svolte abitualmente dal proprio domicilio, ragion per cui deve presumersi che il lavoratore stesse svolgendo la propria attività lavorativa quando l’infarto si è verificato durante l’orario di lavoro».
 
Perdipiù, «il fatto che il lavoratore avesse già sofferto in passato di episodi di cardiopatia non è sufficiente a superare la suddetta presunzione, né consente di negare la classificazione nei termini di “infortunio sul lavoro”, giacché l’attacco cardiaco è avvenuto in orario e nel luogo di lavoro, senza che possa escludersi, di conseguenza, la possibilità che il lavoro stesso sia stato il fattore scatenante».
 
A margine delle argomentazioni a favore dell’una o dell’altra posizione, è bene ricordare, come precisato nella recente Nota Técnica de Prevención (NTP) n.º 1191 del Instituto Nacional de Seguridad y Salud en el Trabajo dell’anno 2024, l’importanza di una corretta e consapevole gestione della salute cardiovascolare in ambito lavorativo, dato il considerevole impatto tanto sulla salute dei lavoratori quanto sul rendimento e sui risultati aziendali, se si considera che la patologia cardiovascolare, talvolta anche a causa di fattori di rischio professionale, rappresenta la principale causa di morte non solo in Spagna, ma nel mondo.
 
Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona

@LaviniaSerrani

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