Il d.lgs. n. 81/2015 modifica e riordina diverse forme di lavoro, riscrivendo gran parte delle disposizioni del d.lgs. n. 276/2003, ma lascia immutata l’impostazione secondo la quale le stesse disposizioni non si estendono ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Il riassetto, dunque, del lavoro flessibile nella PA resta subordinato all’attuazione della legge delega di riforma, all’esame tutt’ora del Parlamento.
Tempo determinato. In particolare, sul lavoro a tempo determinato il d.lgs. n. 81/2015 lascia espressamente fermo quanto prevede l’articolo 36, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. In sostanza, mentre nel sistema privatistico il lavoro a tempo determinato è “liberalizzato” anche dalla necessità di dimostrare l’esistenza di una “causa giustificativa”, nel lavoro pubblico il tempo determinato resta, invece, un’eccezione. Il modello generale e principale è solo il lavoro a tempo indeterminato e la possibilità di attivare il tempo determinato resta comunque legata alla sussistenza delle esigenze «di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale» previste dalla norma pubblicistica.
Visto che il legislatore ha tenuto a marcare ulteriormente le differenze tra la disciplina lavoristica privata e pubblica, si sarebbe potuto, almeno, intervenire sul tema delicatissimo della successione dei contratti a termine per oltre 36 mesi. Da anni i giudici del lavoro condannano spesso, assurdamente, le amministrazioni pubbliche al risarcimento del danno dei dipendenti assunti per oltre 36 mesi, ma a seguito del superamento di concorsi pubblici. Il giudice del lavoro non intende minimamente rendersi conto che il concorso elide totalmente la possibilità che la successione dei contratti discenda da una decisione unilaterale del datore di lavoro di rinnovare periodicamente il contratto, elemento fondamentale del concatenamento illecito dei contratti a termine. Il concorso, infatti, esclude un simile intento.
Per evitare che un dipendente possa cumulare con la stessa PA oltre 36 mesi di lavoro a termine, occorrerebbe impedirgli di partecipare ai concorsi. Cosa che si rivelerebbe totalmente incostituzionale.
Purtroppo, il d.lgs. 81/2015 non spende nemmeno una parola per provare a risolvere una volta e per sempre questa paradossale questione.
Collaborazioni coordinate e continuative. Anche in questo caso in attesa del riordino di stampo pubblicistico, il d.lgs. n. 81/2015 dispone che nel caso delle amministrazioni pubbliche fino a tutto il 2016 non si applicano le nuove disposizioni in tema di collaborazioni ivi previste, finalizzate sostanzialmente a ricondurre al lavoro subordinato le collaborazioni «esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro». Formulazione, questa, che ricomprende la gran parte delle co.co.co.
Mentre tali tipi di collaborazioni restano da subito vietate per i datori privati (a meno che i contratti collettivi di settore non deroghino alla previsione normativa), il divieto per le amministrazioni pubbliche scatterà solo dal primo gennaio 2017. Francamente, non si riesce a capire la ratio di questa disparità tra ordinamento privato e pubblico.
Resta il fatto che, comunque, al di là della nuova configurazione delle co.co.co. data dal d.lgs. n. 81/2015, per le pubbliche amministrazioni simili collaborazioni personali, ripetitive ed organizzate in tutto e per tutto dal datore sono vietate ormai da anni.
L’articolo 7, commi 6 e seguenti, del d.lgs. n. 165/2001, come è opportuno ricordare, non solo consente le collaborazioni solo a condizione che vi sia la dimostrazione dell’assenza delle professionalità necessarie nei ruoli, si dia corso ad una procedura selettiva e si dia luogo a prestazioni altamente qualificate, ma dispone espressamente che «Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti».
Nella sostanza, pertanto, il d.lgs. n. 81/2015 non incide in modo significativo sulle co.co.co. nell’ambito pubblico e rimanda tutto di 18 mesi all’eventuale nuova regolazione normativa lasciata alla riforma della PA.
Luigi Oliveri
Dirigente Coordinatore Area Servizi alla Persona e alla Comunità
Provincia di Verona
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Tempo determinato e co.co.co.: per la PA valgono le vecchie regole