L’etichetta più utilizzata, qualche anno fa, era quella di “erede di Marco Biagi”, il giuslavorista ucciso dalle Br a Bologna, nel 2002. Michele Tiraboschi era stato suo allievo, e di fatto convinto propulsore di studi sulla trasformazione del mercato del lavoro, lontano dai modelli fordisti di un secolo fa, dove la flessibilità deve essere studiata prima che giudicata. Senza ideologie.
Michele Tiraboschi, ordinario di Diritto del Lavoro a Modena-Reggio Emilia, coordinatore scientifico di Adapt, l’associazione di studi sul lavoro fondata nel 2000 proprio da Marco Biagi.
Scrive su diverse testate. Da un suo articolo sul Sole 24 Ore, pubblicato il 17 gennaio (nella scia del dibattito generato dall’intervento di Carlo Calenda e Marco Bentivogli), l’occasione per questo colloquio che connette “i problemi del lavoro in Italia”, la nuova impresa 4.0, e il nuovo welfare.
Ha scritto che “il tema da mettere al centro del confronto è il rinnovamento dei sistemi di welfare e di relazioni industriali”: welfare e produttività. Ci sono evidenze, esperienze, benchmark per declinare questo rapporto?
Una delle gravi lacune del nostro Paese è l’assenza di strumenti di monitoraggio in grado di valutare le politiche pubbliche, in questo caso la leva fiscale di incentivazione del welfare aziendale. Allo stato, dal rapporto Adapt che stiamo compilando, emerge che il fenomeno è ancora circoscritto al semplice welfare occupazionale, cioè la connessione tra prestazione di lavoro e misura di welfare. E’ un dato di fatto che però non è valorizzato adeguatamente e consapevolmente in termini di produttività…
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