ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it
Bollettino ADAPT 11 settembre 2023, n. 30
Il Parlamento Europeo ha recentemente pubblicato un report dedicato agli stage, con l’obiettivo di sollecitare la Commissione ad adottare un framework aggiornato per riconoscere – e promuovere – tirocini di qualità. L’idea che soggiace all’intervento del Parlamento è quella di considerare i tirocini come veri e propri periodi di lavoro, con tutto ciò che questo comporta. Si tratta di un tema rilevante, data l’eterogeneità tra gli Stati membri in termini di regolamentazione dei percorsi di formazione duale che coniugano formazione e lavoro. Anche l’Italia, nonostante l’avanzata normativa vigente, è chiamata a compiere un ulteriore passo in avanti.
Non è la prima volta ce le istituzioni europee si esprimono su questo tema. Il Consiglio dell’Unione Europea aveva adottato, già nel 2014, una raccomandazione che conteneva le linee guida a cui gli stati avrebbero dovuto allinearsi in merito. Successivamente, nel 2016 la Commissione ha promosso una valutazione generale sull’impatto di queste linee guida, mantenendo quindi alta l’attenzione sull’istituto del tirocinio. Dalle valutazioni promosse in questi anni è emersa la necessità di aggiornare il framework esistente, perché possa risultare più incisivo soprattutto a seguito di due considerazioni: prima di tutto, oltre la metà di tutti i giovani tra i 15 ed i 34 anni nell’EU hanno preso parte ad almeno un tirocinio. Di conseguenza è ovvio che per milioni di questi si tratta di un trait d’union fondamentale tra formazione e lavoro ed un’esperienza di qualità può avere ripercussioni di lungo periodo sulla capacità di raggiungere lavori stabili e ben retribuiti. In seconda battuta, un sistema di tirocini ben strutturato dovrebbe essere funzionale anche a colmare skill mismatches lamentato dalle imprese.
Per assicurare che questi due aspetti collimino, il Parlamento si è concentrato soprattutto sulla necessità di rafforzare alcuni criteri specifici. Infatti, sebbene sia vero che la metà dei giovani che hanno partecipato alla survey condotta da Eurobarometro abbiano preso parte ad almeno un tirocinio, questa statistica deve essere maneggiata con cura; sarebbe infatti un errore pensare che tirocini di qualità siano accessibili nella stessa misura a tutti: giovani con background svantaggiati alle spalle incontrano spesso difficoltà non semplici da superare. Proprio per questa ragione, il Parlamento propone che i periodi di tirocini vengano considerati a tutti gli effetti come un lavoro, in modo che soprattutto chi parte da una posizione svantaggiata abbia diritto ad una indennità in grado di coprire almeno spese ordinarie. Dalla medesima indagine di Eurobarometro emerge come solo poco più della metà dei tirocinanti riceva una forma di compensazione e, nonostante ciò, oltre la metà di questi la considera insufficiente a coprire i costi di base come ad esempio l’alloggio od i trasporti.
Le barriere di carattere economico non sono comunque la sola discriminante. All’interno dell’Unione Europea vivono infatti ben 87 milioni di persone disabili, le quali si trovano ad affrontare ulteriori difficoltà sul percorso verso un’occupazione di qualità. È quanto mai necessario che queste barriere vengano superate, siano essere fisiche o culturali.
Accanto ai temi appena citati, il Parlamento si sofferma poi con attenzione sul tema della qualità dei tirocini, intesi come esperienza formativa, soprattutto quando avvengono in contesti aziendali di medio-piccole dimensioni. Esiste un’ampia letteratura che sottolinea il legame tra qualità dell’esperienza formativa ed outcomes occupazionali, in una relazione che è fortemente influenzata e caratterizzata da fattori quali la cooperazione tra stakeholders, inclusi imprenditori, rappresentanti sindacali ed ispettorati del lavoro. Secondo il report non è possibile assicurare un’esperienza di qualità senza che tutti questi soggetti partecipino alla definizione ed alla regolamentazione dell’istituto del tirocinio in termini di durata minima (non meno di un mese), condizioni di rinnovo, obblighi, diritti e obiettivi di apprendimento. Anche l’introduzione di un vero e proprio certificato comune riconosciuto all’interno dell’Unione, che attesti le conoscenze e le competenze acquisite dovrebbe essere uno strumento sul quale investire con decisione. Si tratterebbe di un argine contro il l’utilizzo dei tirocini come sostituti di posizioni entry-level o dallo scarso valore aggiunto
In seguito alla pandemia il report afferma poi che i tirocini, in quanto esperienze caratterizzate da un forte elemento formativo, non dovrebbero mai essere svolti in modalità remota o ibrida, con rarissime eccezioni. L’impatto della pandemia sul mercato del lavoro è stato dirompente in senso generale, ma lo è stato forse in misura ancora maggiore per i giovani ed un’esperienza svolta in modalità ibrida troppo spesso non è in grado di garantire l’apporto formativo che invece dovrebbe essere alla base del tirocinio.
Riguardo il caso italiano, è innanzi tutto importante ricordare che il tirocinante è tutelato in termini di salute e sicurezza, vi è dunque la possibilità di sospendere il percorso formativo in caso ad esempio di infortunio, maternità o malattia. Nonostante ciò, ci sono alcune considerazioni da fare alla luce di quanto contenuto nel report. La prima riguarda senza dubbio la retribuzione, alla quale il tirocinante non ha formalmente diritto. Viene percepita infatti un’indennità variabile che non garantisce copertura previdenziale o l’accesso a sussidi di disoccupazione nel momento in cui il periodo di formazione viene concluso. Il recente report dell’ANPAL riguardo i tirocini extracurricolari, proprio riguardo il tema delle indennità, sottolinea con forza la mancanza di omogeneità nel paese con variazioni anche sostanziali tra una regione e l’altra. Le linee guida del 2013 stabiliscono infatti un rimborso minimo che ammonta a 300 euro mensili, ma si tratta solo di un punto di partenza: ad esempio regioni quali Sicilia o la Provincia Autonoma di Trento non si discostano da questa soglia minima, mentre nel Lazio questo importo raggiunge la soglia degli 800 euro. Si tratta di una differenza considerevole, che può rappresentare un problema per i soggetti più esposti. Se si prendono in considerazione per un momento invece i tirocini svolti come parte del percorso accademico invece, questi non garantiscono alcun diritto in termini di indennità percepita.
Il vero tema però è quello dell’utilizzo che viene fatto del tirocinio. Tra il 2019 ed il 2021 sono stati infatti attivati quasi un milione di stage extracurricolari, un numero enorme che non può esimere da alcune considerazioni. Prima fra tutte, quella riguardante l’utilizzo di questo strumento come vero e proprio avviamento al lavoro, tralasciando quindi la componente formativa soprattutto per alcune categorie. Si tratta, quest’ultima, di una sfida che risulta ancora più evidente quando si analizzano i tassi di assunzione rispetto alle diverse professioni. In Italia, ma non solo, i tirocini in professioni altamente specializzate soprattutto in ambito scientifico e tecnico vengono spesso interrotti a fronte di assunzioni (nel 48,1% e 43,7% dei casi rispettivamente). Al contrario, quelli svolti in ambiti meno specializzati molto più raramente hanno lo stesso epilogo (26,4% dei casi). Quest’ultimo dato introduce poi una riflessione su di un altro problema, che è quello dell’impiego del tirocinio come politica attiva del lavoro.
Coloro che hanno intrapreso questo tipo di percorso sono infatti spesso disoccupati difficilmente assorbibili nel mercato, individui in carico ai servizi sociali, persone svantaggiate e disabili. Sembra quindi che quella dei tirocinanti con bassa specializzazione sia una categoria a sé, che risponde a logiche a volte diverse rispetto a quelle dell’investimento in formazione. È infatti molto probabile che queste persone intraprendano percorsi di tirocinio non nell’ottica di acquisire competenze e completare la propria formazione, bensì perché si tratta semplicemente di una tra le poche opportunità offerte loro dal mercato del lavoro.
Dalla valutazione avviata dalla Commissione nel 2016 emerge comunque un generale apprezzamento riguardo il quadro normativo italiano, nonostante alcuni limiti. Tra questi vi è certamente il fatto che troppo spesso i tirocini vengono utilizzati come un vero e proprio strumento di ingresso nel mercato del lavoro, tralasciando la componente formativa e il fatto che quest’istituto, promosso anche all’interno del programma Garanzia giovani, costituisce spesso un’alternativa a poco costo e dal minore impegno burocratico rispetto a misure come l’apprendistato, che accusa una vera e propria concorrenza sleale. Le sfide poste poi dalla disomogeneità territoriale e l’inefficacia di questo istituto come strumento di politica attiva sono anch’essi temi complessi da affrontare ma meritevoli di una risposta seria e strutturata.
In ogni caso, al di là del dibattito sulla retribuzione che, così come presentato nel report, rimane un aspetto importante ma controverso, proprio perché assimilare il tirocinio ad un vero e proprio rapporto di lavoro rischia di sdoganare ancora di più il fenomeno del lavoro povero e dell’uso di questo strumento solo come surrogato di un periodo di prova, il focus principale dovrebbe porsi più sulla qualità e sulla componente formativa, e sul fatto che queste funzionino. Un tirocinio di qualità dovrebbe infatti prima di tutto essere in grado di guidare e formare giovani che rappresentino un valore aggiunto.
Il recente report elaborato dal Parlamento Europeo non si discosta significativamente dall’approccio già adottato nel 2014, ma spinge verso l’adozione di ulteriori misure a tutela dei tirocinanti, oltre a sollecitare coloro che ancora non l’hanno fatto ad adeguarsi alle raccomandazioni già in essere. Si tratta di un processo però complesso da regolamentare, dato che accanto a Stati che disattendono quasi completamente le linee guida, ve ne sono invece altri che le hanno adottate in toto o parzialmente in funzione delle specificità su cui i diversi sistemi sono imperniati. Specificità spesso radicate nella storia industriale, sociale, politica ed economica che li caratterizza
In conclusione, secondo il report assicurare il rispetto dei fondamentali diritti riguardo salute, sicurezza ed accessibilità, il maggior grado possibile di partecipazione trasversale e una formazione di qualità sono obiettivi che portano benefici tangibili sia al sistema economico che ai giovani in cerca di un posto di lavoro. Si tratta senza dubbio di un punto di partenza sul quale costruire un sistema il più possibile inclusivo e funzionale.
Michele Corti
ADAPT Junior Fellow