Transizione digitale e (nuove) competenze: una visione d’insieme a partire da uno studio dell’OCSE

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Bollettino ADAPT 21 novembre 2022, n. 40
 
Il 19 ottobre 2022 è stato pubblicato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) un report dal titolo Skills for the Digital Transition: Assessing Recent Trends Using Big Data, nel quale vengono delineati gli andamenti più recenti circa la relazione tra mercato del lavoro e competenze richieste nella transizione digitale. L’impiego di nuove tecnologie, quali l’intelligenza artificiale, la robotica, i sistemi di automazione, l’IoT, sta rivoluzionando l’insieme di modalità con cui le persone imparano e lavorano e, conseguentemente, cambiando i sistemi formativi e lavorativi stessi. Risulta quindi necessario monitorare questi nuovi processi di apprendimento e lavorativi, al fine di creare policies volte ad aiutare gli individui ad acquisire efficacemente le competenze digitali necessarie per partecipare a mercati di lavoro e società in rapida trasformazione. 
 
I primi due capitoli del report inquadrano il tema rispetto ai risultati ottenuti e alle nuove sfide lavorative. Tra il capitolo terzo e quinto, gli autori si interrogano su aspetti più tecnici circa l’utilizzo dei big data rispetto all’occupazione lavorativa in settori industriali diversificati. L’approfondimento di questi capitoli è interessante perché offre una visione sul problema, sia considerando settori lavorativi diversi in un singolo stato, sia eseguendo una comparazione internazionale e trasversale rispetto alle diverse industries. Il sesto capitolo utilizza come parametro di indagine la velocità con cui le nuove tecnologie hanno permeato il mercato del lavoro ed il lavoro stesso, mentre nel settimo ed ultimo capitolo viene proposta una visione sintetica circa la possibilità di reintrodurre lavorativamente i professionisti, mediante appositi percorsi di formativi, in professioni meno tradizionali e più digitali. 
 
Per offrire una visione di insieme, questo contributo prende in esame principalmente i primi due e gli ultimi due capitoli, riportando analisi e risultati riguardanti Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Singapore e Spagna. Un primo dato interessante che viene presentato riguarda la rapidità con cui la trasformazione digitale sta ridisegnando le competenze richieste per lavorare in contesti digitali. L’esempio specifico riguarda il campo della gestione dei database e supply chain dove, oltre ad essere utili le competenze trasversali, risulta sempre più urgente la padronanza di piattaforme open source e software come Tensorflow e di linguaggi di programmazione come Java, particolarmente richiesto nel settore in Germania.
 
Un secondo dato interessante riguarda la permeazione delle tecnologie digitali e annesse competenze in settori diversi, andando dalla meccanica e la manifattura fino ai servizi e alla sanità. Le analisi condotte in Canada e Stati Uniti hanno evidenziato come la padronanza di competenze nella materia del machine learning, e la comprovata abilità ad utilizzare linguaggi come Python o JavaScript, piuttosto che la conoscenza di Ubuntu, aumenti drasticamente le possibilità di assunzione, indipendentemente dal settore lavorativo di riferimento. Risultati simili sono stati rilevati in Belgio, Francia e Paesi Bassi per quanto concerne la conoscenza dei sistemi operativi basati su Linux.
 
Risulta altresì necessario chiedersi che tipo di impatto possa avere questa trasformazione sui lavori tradizionali, e sui lavoratori con competenze digitali più contenute. La digitalizzazione rappresenta un’opportunità unica per sviluppare nuove competenze utili per la trasformazione del lavoro in atto, fermo restando che l’innovazione tecnologica stessa rappresenta uno dei fattori di principale responsabilità per il possibile (e probabile) declino di certe mansioni lavorative. Con il dispiegarsi della digital transition, che tipo di mercato del lavoro emergerà? Seppur diverse mansioni ripetitive verranno affidate alle macchine, va del resto notato che gli strumenti digitali, come viene sottolineato nel capitolo due, non operano in un contesto vuoto, ma vanno programmati e monitorati da personale qualificato. L’impiego di tecnologie avanzate per mansioni cognitivamente impegnative valorizza, nella previsione dell’evoluzione dei nuovi mercati di lavoro, quelle competenze più “umane”, come l’empatia, intuizione e creatività. 
 
La trasformazione del (mercato del) lavoro impatta inoltre la sicurezza, ponendo al centro del dibattito le modalità di uso e protezione dei dati. Risulta cruciale lo sviluppo e impiego proattivo della cybersecurity, così come la gestione del rischio rispetto all’utilizzo dei big data. Aumenta, dunque, la richiesta di lavoratori con skills nel campo della sicurezza informatica, con maggior rapidità in Regno Unito e Stati Uniti d’America, dove la domanda di lavoratori con competenze di cybersicurezza è di circa 6 e 10 volte più veloce rispetto alla competenza media rispettivamente in questi due stati.
 
Se si prende sul serio la digital transition, dalle nuove esigenze nel campo della sicurezza alla massimizzazione della produzione nel campo della logistica, della manifattura, e dei servizi, urge chiedersi in che modo usare i big data come strumento di analisi per riqualificare i lavoratori in contesti lavorativi più digitali. Partendo da questo interrogativo, nel capitolo sette viene sottolineata la priorità di progettare sistemi di riqualificazione delle competenze, in primis stabilendo gerarchicamente i gruppi, o cluster, occupazionali al fine di procedere con policies volte a integrare lavorativamente il personale e riqualificare con competenze specifiche, in base al cluster di appartenenza.
 
La suddivisione in cluster segue essenzialmente due parametri: (1) l’identificazione di insiemi occupazionali che condividano simili requisiti competenziali; (2) il grado facilità con cui può avvenire la transizione da una occupazione ad un’altra, a partire dalla cardinalità di competenze condivise tra i due insiemi di lavori. Il report pone fortemente l’accento sulla necessità di considerare i lavori in “declino” come possibili punti di partenza e non come vicoli ciechi. L’urgenza non è solo quella di analizzare digitalmente questo flusso, ma favorire esplicitamente la digitalizzazione stessa dei lavori. 
 
Un caso esplicativo riguarda uno studio svolto dallo US Bureau of Labor Statistics (BLS) nel 2021 riguardante i cluster occupazionali per i responsabili del servizio clienti e ingegneri informatici. Nell’esempio specifico, il dato oggettivo è che l’automatizzazione dei processi di analisi e calcolo porta necessariamente ad una costante riduzione occupazionale (basti pensare all’impiego capillare dei chatbots). Chi lavora nel servizio clienti dovrà dunque potenziare certe competenze tecniche, in modo da passare da una occupazione con una percentuale di declino del -1.5% prospettata per il prossimo decennio ad una mansione più robusta del nuovo mercato del lavoro.
 
L’aspetto più affascinante del report riguarda la visione d’insieme circa le criticità occupazionali della digital transition e le possibili conseguenze virtuose dell’uso dei dati per creare procedure di riqualificazione delle competenze. Il case study viene condotto da più punti di vista, sottolineando un obiettivo molto preciso: evidenziare le potenzialità della transizione, seppur notando le sfumature problematiche, e dettare una linea per il disegno di nuove policies. La possibilità di riqualificare le competenze per lavori più digitali necessita di fondarsi su analisi precise e non dettate dal caso. Per questo, è interessante usare i big data stessi per facilitare la transizione al digitale, valorizzando in primo luogo l’interazione uomo-macchina come forma di miglioramento ed esaltazione del capitale umano.
 

Carlo Pace

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@CarloPace

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