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Bollettino ADAPT 3 giugno 2019, n. 21
La recente sentenza del Tribunale di Venezia n. 261 del 3.5.2019, resa in sede di reclamo contro un decreto di rigetto di ricorso per attività antisindacale ex art. 28 Statuto dei lavoratori, sembra poter chiudere, non solo perché ultima arrivata ma per completezza e solidità di argomenti, la complessa vicenda che ha interessato l’intervento di riorganizzazione del Servizio sanitario regionale Veneto operato in con l.r. 19/16, con la quale la Regione ha creato un nuovo soggetto amministrativo (espressamente qualificato come ente del Servizio Sanitario Regionale e quindi soggetto alla contrattazione collettiva della Sanità) a cui sono state attribuite funzioni amministrative centralizzate quali la gestione contabile, concorsi pubblici regionali, gare, gestione del rischio professionale e al quale doveva – in base alla lr. 19/16- essere trasferita una parte dei dipendenti addetti -presso le aziende sanitarie “periferiche” – alle funzioni destinate all’accentramento e doveva infine essere assegnata la corrispondente quota dei fondi per il salario accessorio.
Il tema centrale e più significativo e portata generale, affrontato dalla recente pronuncia, è specificamente quello della ammissibilità di una contrattazione (o confronto) sovraziendale e in particolare regionale (tra Regione e sigle sindacali) che incida sulla contrattazione (o confronto) aziendale, tanto da condizionare quest’ultimo, senza margini di discrezionalità per l’appunto a livello di azienda.
Nella fattispecie, la riorganizzazione, e in particolare il passaggio diretto di personale e fondi, sono stati gestiti dalla Regione del Veneto, sul piano dei rapporti sindacali e agli effetti del rispetto del disposto dell’art. 31 d.lgs. 165/01, che –ricordiamo- richiama l’art. 2112 c.c. e la l. 428/90, mediante “protocolli di intesa” (già l’uso di tali forme di accordo, non presenti nella disciplina delle relazioni sindacali, dimostra la peculiarità del caso) sottoscritti in data 11 e 20 luglio tra la Regione Veneto medesima e non le aziende sanitarie (queste ultime interessate in netta prevalenza dal passaggio di personale e fondo) e tutte le rappresentanze sindacali tranne quella che ha promosso i contenziosi di cui si dirà subito.
Ai fini della legittimazione giuridica di tale livello di accordo, i protocolli richiamavano l’articolo 18, comma 4 bis del CCNL del 20 settembre 2001, integrativo del CCNL del 7 aprile 1999, che prevede che, in caso di ristrutturazione su dimensione regionale o sovra aziendale degli enti del SSN, che comportino l’accorpamento, anche parziale, di strutture appartenenti a separati enti, i criteri circa la mobilità del personale interessato, nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina, ove prevista e posizione economica di appartenenza del dipendente, possono essere affrontate in sede di confronto regionale ai sensi dell’articolo 7 dello stesso CCNL del 20 settembre 2001.
A valle dei protocolli e in conformità agli stessi, le singole aziende hanno poi stipulato gli accordi, in testuale applicazione delle previsioni della l. 428/90, richiamata dall’art. 31, d.lgs. 165/01, contenente la disciplina del trasferimento di funzioni e personale (cessione del ramo di azienda) nel settore del pubblico impiego.
Sul piano dei contenuti, l’elemento caratterizzante dei protocolli regionali, nettamente “pro-sindacale”, è stato quello della valorizzazione della volontarietà del trasferimento del personale, a fronte di un art. 31 d.lgs. 165/01, che ammette o addirittura di per sé impone una scelta unilaterale dei datori di lavoro cedente e cessionario in ordine alle singole unità di personale da trasferire.
In un tale quadro regolatorio, giustamente e inevitabilmente regionale, livello imprescindibile a fronte di una riorganizzazione estesa a tale ambito territoriale e conforme a previsioni contrattuali del 2004, si è prodotto un contenzioso che si può così sintetizzare in termini numerici: tre ricorsi ex art. 28 St Lav promossi dalla CGIL, due soluzioni opposte (due pronunce di rigetto, una di accoglimento), una opposizione, respinta.
La posizione espressa dal terzo giudice (Verona), pronunciatosi per ultimo, ha lasciato fortemente perplessi, posto che il giudice predetto ha completamente ignorato anche nelle argomentazioni testuali i due precedenti, ovviamente esibiti nel giudizio ben prima della pronuncia.
La sentenza ora intervenuta in sede di in commento sembra consolidare definitivamente la valutazione giudiziale positiva già emersa come maggioritaria nella prima fase.
Il tema principale sollevato nei tre ricorsi originari e di maggior portata generale attiene al rapporto tra protocolli regionali e contrattazione aziendale: secondo la CGIL i primi, vincolando la seconda, svuotano la seconda, che sarebbe l’unica “vera” contrattazione.
I giudici di Venezia e Treviso non rilevano condotte antisindacali; Verona accoglie invece il ricorso CGIL.
Quest’ultima presa di posizione non appare per nulla convincente nelle sue argomentazioni.
Il giudice di Venezia (decreto “apripista” n. 2228/2018 del 10/04/2018), aveva sottolineato come tale accordo regionale fosse legittimato da norme contrattuali relative proprio a fenomeni di riorganizzazione aziendale e ancora più specificamente di mobilità del personale: l’art. 3 c. 3 del ccnl 31.7.09 stabilisce che “In caso di ristrutturazione su dimensione regionale o sovra aziendale degli enti del SSN che comportino l’accorpamento, anche parziale, di strutture appartenenti a separati enti, i criteri circa la mobilità del personale interessato, nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina ove prevista nonché posizione economica di appartenenza del dipendente, possono essere affrontati in sede di confronto regionale ai sensi dell’art. 7 del CCNL 19.4.2004”, il quale art. 7 prevede che le Regioni possono emanare linee generali di indirizzo previa informazione alle OOSS firmatarie”.
Il Tribunale di Verona, invece, ignorando, anzi deliberatamente disattendendo tale normativa richiamata dalle parti datoriali in sede di difesa, rileva come “la predisposizione a livello regionale e centrale di un accordo e la sottoposizione dell’ accordo già formato a livello decentrato vanifichi tale norma [quella dell’art. 47, comma 1, l. 428/90, che prevede un esame congiunto in esito al quale può stipularsi un accordo, ndr], frustrandone la ratio essendi e che questo sia, nei fatti, avvenuto si coglie chiaramente dalla stessa comunicazione aziendale di avvio della trattativa nella parte in cui chiarisce: ‘l’Accordo in merito previsto dalla legge dovrà essere raggiunto e sottoscritto in tale sede. Peraltro, come si evince dall’allegato, il testo dell’intesa è stato già discusso e concordato negli incontri tenutisi il 6 settembre u.s. in sede regionale sia con i sindacati della dirigenza che con i rappresentanti del comparto che hanno sottoscritto i protocolli di luglio u.s.. ciò in quanto è indispensabile, ai fini della realizzazione del processo di riforma, che sia garantita omogeneità di regolamentazione tra tutti gli enti del SSR e le OO.SS interessati’ ”.
Ben più solida, invece, la pronuncia del Tribunale di Venezia in sede di opposizione (v. sentenza n. 261 del 3.5.2019).
Il Tribunale aderisce in pieno alla tesi della parte datoriale per la quale “Il potere di coordinamento regionale è espressamente previsto dall’art.7 CCNL 2004 e, per quanto riguarda i casi di ristrutturazione su dimensione regionale e sovra aziendale, dal comma 4 bis dell’art. 18 del CCNL integrativo 20.9.2001. I Protocolli del luglio 2017, non sottoscritti da CGIL, si collocano in quest’ambito”.
L’affermazione ribadisce la necessità, in via generale, di un confronto a livello aziendale, in mancanza di una diversa disciplina collettiva (v. l. 428/90) e dall’altro che in materia sanitaria è previsto espressamente il coordinamento regionale (art. 7 ccnl 2004), da espletarsi mediante l’emanazione di “linee generali di indirizzo per lo svolgimento della contrattazione integrativa, previa informazione preventiva alle organizzazioni sindacali firmatarie del presente contratto”, peraltro nelle specifiche materie individuate dall’art. 7, al quale va aggiunto il disposto dell’art. 6, comma 4 del CCNL 7 aprile 1999, nel quale l’art. 7 ccnl 2004 aggiunge il riferimento, come materia di coordinamento, alla “verifica dell’entità dei fondi di cui agli artt. 38 e 39 del CCNL 7 aprile 1999 (di pertinenza delle aziende e degli enti ai sensi dell’art. 4 del CCNL del 7 aprile 1999 ed ora, rispettivamente artt. 30 e 31 del presente contratto) limitatamente a quelli soggetti a riorganizzazione in conseguenza di atti di programmazione regionale, assunti in applicazione del d.lgs n. 229 del 1999, fermo restando il valore della spesa regionale dei fondi medesimi”.
Sull’addebito della mancata informazione, è importante il rilievo del Tribunale laddove, con riguardo in particolare all’addebito di mancata informazione sulla determinazione delle quote di attività e risorse da trasferire, sottolinea che “l’oggetto dell’esternalizzazione è decisione che appartiene esclusivamente alla parte datoriale e quindi alla P.A., che non è tenuta sul punto a confrontarsi. La determinazione della percentuale di attività, e quindi di risorse, da trasferire si concretizza proprio nella delimitazione del ramo d’azienda, ambito nel quale la parte datoriale è tenuta solo a comunicare le proprie determinazioni, ma non ad ‘aprire il contraddittorio’ con le OOSS”. Del resto l’“art. 31 del d.lg. n. 165/2001 ha … esteso, a beneficio dei lavoratori, le garanzie sostanziali (art. 2112 c.c.) e procedurali (art. 47 l. 428/90) previste per i casi di trasferimento a tutte le ipotesi di conferimento ed esternalizzazione di qualunque attività, da pubblico a pubblico e da pubblico a privato, in linea con quanto sancito dalla giurisprudenza comunitaria circa la nozione di impresa pubblica (v. CGCE 4.06.2000 164/00)”.
In conclusione: “Il confronto in sede regionale, in cui peraltro erano presenti gli stessi soggetti delle sedi aziendali, ha costituito una tappa necessaria del percorso, che non poteva non essere unitario per tutte le realtà aziendali, e che è stato poi presentato per essere condiviso” (TB Venezia 261/19).
Claudio Costa
Direttore Direzione Risorse Strumentali SSR – Regione Veneto
Franco Botteon
Direttore Direzione Affari Legislativi – Regione Veneto