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Alla base del trasferimento tecnologico vi è l’idea di consentire all’industria di ricevere i risultati della ricerca, comprenderli, elaborarli entro i propri schemi e darvi una concreta applicazione attraverso produzioni ad alto livello di conoscenza e tecnologia.
Questa sinergia risulta vantaggiosa tanto per l’attività di ricerca, che vedrebbe un’immediata espansione dei propri ambiti di rilevanza e, auspicabilmente, dei fondi con cui poter crescere, quanto per l’industria, data la necessità di conoscenza tecnologica di altissimo livello per tenere il passo con le sfide che fronteggiano un sistema produttivo in evoluzione come quello attuale.
I motivi per cui questo fenomeno virtuoso non avviene spontaneamente sono diversi, a partire dalla diversa concezione che il mondo accademico e quello industriale hanno della conoscenza e della ricerca. Da un lato, conoscenza esplicita e codificata, quindi un’idea di ricerca volta alla pubblicazione e diffusione dei risultati; dall’altro conoscenza tacita e non codificata, finalizzata ad un utilizzo industriale e su tempistiche di investimento brevi.
Le attività di trasferimento tecnologico sono finalizzate all’obiettivo di instaurare un raccordo tra i due sistemi che possa essere proficuo per entrambi: trattandosi di un ambito di per sé complesso e articolato su più piani di azione, le attività necessarie e interconnesse sono varie ed eterogenee.
Da un lato vi è il piano della “traduzione” dei risultati della ricerca accademica in qualcosa che sia comprensibile e spendibile nel contesto industriale: quindi si parla di brevettazione dei risultati della ricerca, con la gestione della relativa proprietà intellettuale e di tutte le problematiche giuridiche ed economiche afferenti alla protezione che vengono in essere.
Tra i soggetti più attivi in tal senso sul piano nazionale si segnala l’associazione Netval, un network per la valorizzazione della ricerca universitaria, di cui fanno parte circa cinquantasei università e sei enti pubblici della ricerca, che ha realizzato un importante programma di formazione (rivolto agli stessi membri) sul tema della valorizzazione dei risultati della ricerca pubblica.
Vi è poi – ad un livello successivo – l’espressione del risultato della ricerca in una dimensione di impresa, con quella che si definisce “spin–off della ricerca”: si segnala come esempio di successo la Lpro s.r.l., spin off dell’Università di Padova, specializzata nella produzione di dispositivi di analisi e misura dei gas non a contatto con tecnologie innovative per l’epoca. Ha realizzato numerosi strumenti che consentono di misurare la concentrazione di gas in ogni tipo di contenitore, di immediata utilità in diversi settori industriali e merceologici (edilizio, alimentare, farmaceutico, packaging). Questa esperienza ha attirato l’attenzione di imprese già esistenti e attive sul mercato: hanno composto una compagine aziendale che ha fornito a Lpro srl l’apertura sul mercato e l’accesso ai finanziamenti. In questa esperienza ha dato buona prova di sé il servizio di trasferimento tecnologico dell’Università di Padova, che ha fornito supporto tecnico per la gestione del brevetto e le ha consentito di ottenere i primi finanziamenti.
In generale i servizi di trasferimento tecnologico si occupano di tutte le attività di ricerca collaborativa attuate con imprese ed enti esterni, con l’obiettivo di valorizzare la ricerca in senso ampio, attraverso la diffusione di una cultura imprenditoriale della ricerca. A tal fine, svolgono funzioni di supporto a tutti i segmenti che concorrono alla definizione del processo complessivo: gestione della proprietà intellettuale, delle attività di licensing e dei contratti di ricerca, da un lato, supporto alla creazione di imprese spin off, gestione dei fondi per la ricerca e fornitura di servizi tecnici dall’altro. In quest’ottica un ruolo nevralgico viene svolto dagli incubatori universitari, il cui compito è quello di favorire la nascita di ecosistemi favorevoli allo sviluppo di start up innovative (cfr. d.lgs 179/2012) nell’ambito di un approccio di sostegno pubblico all’imprenditorialità. Si delineano tre generazioni di incubatori: i primi consistono essenzialmente in allocatori di spazi attrezzati e strumentazioni condivise, i secondi hanno aggiunto a spazi e risorse consulenti e servizi specialistici, mentre quelli di terza generazione dovrebbero realizzare una cooperazione nell’ambito di cluster e network.
Si evidenzia l’esempio di PNI cube, associazione che unisce incubatori universitari e business plan competition (start cup) accademiche italiane per stimolare la nascita di nuove imprese ad alto contenuto di conoscenza di provenienza universitaria. Ogni anno organizza due competizioni, quella per nominare la start up dell’anno e quella per assegnare il premio nazionale per l’innovazione; circa metà dei progetti che in ogni nazione hanno raggiunto le fasi finali della competizione (PNI) sono diventati imprese attive sul mercato.
Il panorama italiano da questo punto di vista offre segnali incoraggianti in termini di accresciuto interesse, sebbene si tratti di un processo ancora agli inizi, segnato dal dibattito tra open science e “università imprenditoriale” e da limiti strutturali, a partire dalla scarsità di risorse finanziarie e umane. Nonostante ciò, esistono esperimenti che oggi si segnalano per la loro complessità, l’impegno profuso e i buoni risultati raggiunti nel tempo.
Il primo di questi è costituito dallo spin off accademico dell’Università di Roma Tre, che dà alla nozione (di spin off accademico) un significato esteso, che comprende tutte le principali forme di valorizzazione economica dei risultati della ricerca universitaria: nascita di nuove imprese, trasferimento tecnologico a favore di imprese esistenti, eventuali forme di cooperazione organizzata con l’impresa per conseguire la valorizzazione economica della ricerca universitaria.
Gli obiettivi del progetto sono aumentare l’attenzione all’imprenditorialità in ambiente accademico e avviare meccanismi di autovalutazione in grado di misurare le possibilità di successo delle nuove idee tecnologiche sul mercato, accedere a dotazioni infrastrutturali, stringere legami a rete con centri di competenza e avviare rapporti nuovi col mondo finanziario per acquisire una disponibilità maggiore e fondi seed capital venture.
L’ateneo ha avviato un piano di sostegno e affiancamento amministrativo organizzativo e finanziario delle iniziative, individuando meccanismi per favorire la nascita di nuove imprese o nuove forme di trasferimento tecnologico; ha inoltre fornito strumenti di valutazione del grado di maturità economica in grado di rendere possibile la valutazione interna prima come spin off di ateneo e poi come soggetto in grado di stare sul mercato. Il progetto ha avuto come esito la nascita di tre spin off (CHITechnologies srl, mbs srl, trs srl).
Si segnala anche l’esperienza che vede coinvolto il Politecnico di Torino e ha avuto come esito la nascita della Cittadella politecnica, un complesso edilizio che ospita uffici del Politecnico, dell’incubatore di imprese innovative del Politecnico (uno dei più attivi in Italia), dell’Istituto Superiore Mario Boella, dell’Istituto Superiore Sistemi Territoriali per l’Innovazione, del Business Research center. Quest’ultimo ospita laboratori e uffici di ricerca applicata delle imprese che hanno stretto accordi di partenariato con l’ateneo, vale a dire accordi associati a programmi di ricerca strategici multidisciplinari che coinvolgono più dipartimenti. I programmi di partenariato si basano su progetti finanziati dall’impresa, ai quali si associano poi le diverse opportunità di ricerca collaborativa che possono essere finanziate da enti pubblici. L’esperienza ha consentito di raggiungere buoni risultati; probabilmente si deve anche alla costante vicinanza tra ricercatori accademici e industriali, che ha consentito la realizzazione di un nuovo tipo di interazione tra atenei e imprese.
Laura Angeletti
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo