Il cumulo dei debiti inesigibili – una quota che è circa il doppio di quanto avviene nel resto d’Europa, fra un sesto e un quinto del totale – è la zavorra che impedisce alle banche di far fluire il credito alle imprese. Un po’ tutti dicono che questo è uno dei nodi che non consente all’economia italiana di ripartire allo stesso ritmo delle altre economie europee. Ma per ogni debito inesigibile, c’è un debitore, quasi sempre una impresa che, proprio perchè non restituisce i debiti, riesce, a fatica, a restare in piedi. L’Ocse le definisce le aziende zombie, quelle che hanno problemi permanenti nel pagare gli interessi sui prestiti che hanno ottenuto e sostiene che il loro peso non solo soffoca i bilanci delle banche, ma aggrava il sistema delle imprese in quanto tale, riducendo il potenziale di produzione e i ritmi della produttività.
Il rischio, secondo gli economisti dell’organizzazione che raggruppa i paesi industrializzati, è la stagnazione del Giappone anni ’90: “le aziende zombie deprimono la creazione distruttiva, strozzano le opportunità di crescita delle aziende sane e pongono le premesse di un periodo di stagnazione macroeconomica”. Il problema è che queste imprese decotte, negli ultimi dieci anni, sono aumentate. Non solo come numero, ma anche come occupazione congelata al suo interno e, soprattutto, capitale produttivo paralizzato. Nel mondo competitivo che immagina l’Ocse, un’impresa decotta chiude e fa spazio – in termini di capitale, credito, occupazione, mercato – ad un’azienda vitale. Restando in vita, intasano il mercato e riducono la capacità di far profitti delle imprese sane: rispetto alla produttività media i salari restano alti, perché l’occupazione è stabile, mentre i prezzi sono bassi perchè l’offerta è alta…
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