Tutele rafforzate per i lavoratori in regime di Jobs Act

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Bollettino ADAPT 27 maggio 2019, n. 20

 

Il caso riguarda una lavoratrice che, a seguito di ricorso proposto in Tribunale e successivamente dinanzi la Corte d’Appello di Genova, si è vista respingere la propria domanda principale, volta ad ottenere la reintegrazione per insussistenza del fatto materiale contestato.

 

La Corte d’Appello ha dichiarato il licenziamento illegittimo, condannando la Società datrice alla sola indennità pari a quattro mensilità, in quanto ha ritenuto la mera sussistenza nella realtà storica del fatto contestato sufficiente ad escludere l’applicazione della tutela reintegratoria.

 

A seguito del ricorso proposto dalla lavoratrice, la Corte di cassazione, affermando che “l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare”, ha cassato la sentenza e condannato il datore alla reintegrazione, in quanto ha ritenuto la condotta della lavoratrice priva di qualsiasi rilevanza giuridica.

 

Secondo la Suprema Corte, in considerazione della medesima ratio delle tutele previste legge Fornero e dal Jobs Act, sono applicabili al caso di specie i medesimi principi sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità sotto la vigenza della L. 92 del 2012. Infatti, entrambe le normative, anche se parzialmente differenti dal punto di vista letterale, hanno come logica comune quella di conferire carattere generale alla tutela indennitaria, relegando ad ipotesi residuali quella reintegratoria. Pertanto, in continuità con le pronunce rese dalla giurisprudenza precedente, la cassazione ha evidenziato che “l’insussistenza del fatto comprende anche l’ipotesi di fatto sussistente ma privo di carattere di illiceità o rilevanza giuridica e quindi il fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare, oltre che il fatto non imputabile al lavoratore” (Cass. 16-05-2016, n. 10019), sicché il giudice, nel pronunciarsi sulla domanda reintegratoria, non si limiterà a verificare la sussistenza materiale del fatto ma estenderà la propria valutazione sulla rilevanza disciplinare della condotta, nonché sulla sua imputabilità in capo al lavoratore stesso.

 

Ad ulteriore rafforzamento della propria tesi, vengono richiamate alcune pronunce della Corte Costituzionale. Secondo la Cassazione il diritto del lavoro è diritto fondamentale della persona umana ed in quanto tale, pur non essendo previsto costituzionalmente alcun diritto alla conservazione del posto di lavoro, è prerogativa del legislatore apprestare una disciplina che assicuri la continuità del lavoro e circondi di garanzie e temperamenti i casi in cui sia necessario procedere ad un licenziamento, (Corte Cost. n. 194 del 2018 e Corte Cost n. 45 del 1965). Di conseguenza, il lavoratore potrà essere licenziato in qualsiasi momento dal datore di lavoro, purché non sia estromesso dal lavoro ingiustamente (Corte Cost. n. 60 del 1991), arbitrariamente (Corte Cost. n. 541 del 2000) o, comunque, senza un valido motivo (Corte Cost. n. 46 del 2000).

 

La sentenza in commento assume grande rilievo poiché contribuisce al rafforzamento delle tutele dei lavoratori in regime di Jobs Act, già intrapreso con il Decreto Dignità, attraverso l’innalzamento del numero di indennità (minima e massima) risarcibile al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo e con la sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 2018, che ha previsto una maggiore discrezionalità da parte del giudice in fase di determinazione dell’indennità risarcitoria, dichiarando illegittimo il riferimento del D.lgs. n. 23 del 2015 alla sola anzianità di servizio e reintroducendo, in aggiunta a quest’ultimo, gli altri criteri desunti “dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.

 

Nonostante la persuasività della sentenza, resta qualche dubbio sulla correttezza della stessa, in quanto l’interpretazione data dalla Corte di Cassazione potrebbe comportare il ritorno della proporzionalità nei licenziamenti, superando così la lettera dell’art. 3 comma 2 D.lgs. n. 23/2015, secondo cui rispetto alla valutazione dell’insussistenza del fatto materiale contestato “resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”.

 

Tali dubbi, potrebbero però essere superati dalla constatazione secondo cui la verifica sulla rilevanza disciplinare del fatto contestato non implica una valutazione sulla proporzionalità del licenziamento ma solamente l’accertamento di elementi non materiali (come la gravità del danno) che, insieme all’elemento materiale, divengono parte integrante del “fatto materiale contestato”, sicché l’accertamento di una loro carenza determina la tutela reintegratoria (Cass. n. 20545 del 13 ottobre 2015).

 

Alla luce di tali conclusioni, rimane evidente che accertare la rilevanza disciplinare del fatto contestato costituisce presupposto necessario per una successiva valutazione sulla proporzionalità. Quest’ultima assumerà rilievo solo nel caso in cui sia stata riconosciuta quantomeno una modesta illiceità del fatto contestato, non potendo, al contrario, essere effettuata qualora il fatto contestato sia stato dichiarato giuridicamente irrilevante. Qualora non si accogliesse tale assunto, infatti, il datore potrebbe licenziare arbitrariamente ed i lavoratori potrebbero essere estromessi per aver posto in essere fatti materialmente sussistenti ma leciti.

 

Purtroppo, nessuna incisività può essere conferita a tale soluzione interpretativa, in quanto, non essendo stata descritta nel dettaglio la fattispecie concreta, non si comprende quale sia stata la condotta posta in essere dalla lavoratrice e, dunque, quale debba essere, secondo la Corte, l’effettiva discrezionalità del giudice in sede di valutazione della sussistenza del fatto.

 

Federico Moriconi

 

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