Il primo merito del Jobs Act di Matteo Renzi è certamente quello di avere attivato un dibattito sulle regole del lavoro che da anni non si osservava di questa vivacità e spirito costruttivo di fondo. Le diverse forze politiche hanno immediatamente reagito alla proposta della segreteria renziana presentando all’opinione pubblica e alle parti sociali le loro idee per rilanciare l’occupazione. Ad oggi si contano, affianco al Jobs Act di colore PD, il corposo e completo disegno di legge presentato da Angelino Alfano e Maurizio Sacconi e il vademecum di Scelta Civica, affidato a un dossier atecnico curato da Pietro Ichino e Irene Tinagli. Meno reattive sono state le forze di opposizione. Il Movimento 5 Stelle non è intervenuto sul programma elettorale, mentre è probabile un progetto più organizzato di qualche lancio stampa da parte di Forza Italia. A un tweet del suo segretario è stata invece affidata la controproposta della Lega Nord.
Una rincorsa di questo genere alla “soluzione migliore” non può che essere un segnale positivo e una riconferma della diffusa esigenza di una riforma del diritto del lavoro, divenuto fonte di rigidità e ritardo competitivo tanto per le imprese quanto per i lavoratori.
La presentazione dei diversi contenuti permette di individuare alcune possibili linee condivise. La parola che accomuna tutte e tre le proposte ora sul tavolo è “semplificazione”, seppure declinata secondo valori di riferimento molto diversi. Tanto il PD renziano, quanto NCD e SC concordano sulla necessità di diminuire quantitativamente le norme in materia di lavoro, anche nella direzione di un vero e proprio Codice o Testo Unico. Particolarmente suggestiva è la proposta di Pietro Ichino di innestare la semplificazione nel testo del Codice Civile.
Il secondo punto di vicinanza è il ripensamento della attuale cassa integrazione. Nel Jobs Act si fa riferimento a un costoso assegno universale, nel ddl del NCD all’estensione della cassa integrazione per tutti, nel programma di SC all’assegnazione ai lavori di pubblica utilità dei cassaintegrati.
Il terzo punto è la ricerca di un nuovo modo di regolare il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, posto che il PD è per una corposa diminuzione delle forme contrattuali, mentre NCD e SC vogliono preservare la possibilità di avere un menu di opzioni che sappia adattarsi alle diversissime esigenze dei rapporti di lavoro moderni. La soluzione più dirompente è certamente quella del NCD, che propone l’abrogazione per tutti dell’articolo 18 e un allungamento del periodo di prova a due anni. SC ha confermato l’interesse verso il contratto unico così come formulato nel disegno di legge presentato il 18 aprile 2013: primo biennio di libera recedibilità dal rapporto di lavoro con pagamento di sole due mensilità, dal terzo anno protezione della stabilità crescente al crescere dell’anzianità di servizio (sempre senza obbligo di reintegro del lavoratore licenziato, ma solo indennizzo economico). Renzi scommette sul nuovo “contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”, di non chiara definizione fino a quando non sarà noto l’articolato normativo.
Ultimo punto sul quale potrebbe esserci un accordo è la costituzione di quella che il PD ha definito “Agenzia Unica Federale” e NCD “Agenzia nazionale per il lavoro e la formazione”, ovvero una regia per la migliore organizzazione delle politiche attive e passive.
Le parentele incrociate legano SC e NCD in materia di ricollocazione, poiché la proposta di nuovo contratto dei primi va nella stessa direzione della dote di ricollocazione dei secondi. L’incrocio è invece tra PD e SC per quanto concerne la volontà di normare la rappresentanza sindacale e, di conseguenza, regolare per legge l’attività del sindacato (come non dispiacerebbe neanche alla FIOM). Ipotesi assolutamente osteggiata da NCD, da sempre vicina alle posizioni sussidiarie della CISL.
Differenze notevoli invece in materia di relazioni industriali e di lavoro. Il ddl Alfano Sacconi conferma e potenzia gli spazi derogatori concessi dall’articolo 8 del DL 138/2011 alla contrattazione di secondo livello, che vengono addirittura ampliati alla contrattazione individuale quando assistita dal sindacato o da un consulente del lavoro. Si tratta di una novità assoluta per il nostro diritto. Ancor più futuristica se si osserva che gli altri programmi in esame niente dicono neanche in materia di contrattazione aziendale. Non potrebbe essere che così, alla luce dalle riproposizione nella ddl Alfano Sacconi della delega per la predisposizione di uno Statuto dei lavori che individua la direzione storica e valoriale della proposta del centro-destra, ovvero la semplificazione mediante la responsabilizzazione delle parti sociali. Connessa a questa apertura è la possibilità di demansionamento e sottoinquadramento concessa da NCD alla contrattazione individuale con l’abrogazione secca dell’articolo 2103 del Codice Civile (riformulato nello Statuto dei lavoratori).
Sono materie non ricomprese nei programmi degli altri partiti di Governo, che invece si dedicano alla rendicontazione delle spese per la formazione professionale finanziata (PD), all’invecchiamento attivo e alla occupazione femminile (SC).
Che ne sarà di queste proposte? La parola ora spetta al Governo, che ha accolto piuttosto freddamente questo improvviso fermento progettuale. Anche le parti sociali hanno prudentemente commentato i diversi piani, forse temendo che si tratti più di politica comunicativa che reale volontà di cambiamento. In molti, pur comprendendo lo scetticismo di Governo, sindacati e associazioni datoriali, si augurano si sbaglino.
Emmanuele Massagli
Presidente ADAPT
@EMassagli
*Il presente articolo è stato pubblicato in Libero, 17 gennaio 2014 con il titolo Tutti d’accordo sul codice unico.
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Tante proposte sul lavoro: da cosa partire perchè siano concrete