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Bollettino ADAPT 14 marzo 2022, n. 10
Convegno per la Pubblica Agenda Sussidiaria e Condivisa, Roma, 9 marzo 2022
Proponiamo una agenda di ispirazione cristiana con la dichiarata intenzione di influenzare diffusamente una dimensione pubblica troppo spesso viziata da un cinico tatticismo che separa i comportamenti dai valori dichiarati. Richiamiamo peraltro principi della tradizione che hanno fondato la nostra nazione prima dello Stato. Questi appartengono a coloro che, credenti e non credenti, riconoscono con la semplice osservazione l’antropologia naturale e in essa la ricchezza e l’attitudine relazionale della persona umana. Sono altresì l’identità dell’Europa e dell’intero Occidente, che deve essere ancor più riscoperta nel momento di conflitti che sono anche confronto tra civiltà. Poco vale la democrazia liberale se non è riempita da un sistema di valori condivisi.
Assistiamo frequentemente al paradosso per cui proprio coloro che vogliono conservare le sovrastrutture, per definizione destinate ad evolvere, intendono allo stesso tempo “modernizzare” l’uomo mettendone in discussione i processi naturali come la procreazione, l’identità di genere, la libertà di apprendimento, la famiglia, la conclusione del ciclo vitale. E non meno paradossale è la contrapposizione nella comunità dei credenti tra l’affermazione dei principi antropologici e l’impegno sociale secondo, rispettivamente, le categorie dei conservatori e dei progressisti. In realtà, tutto si tiene e proprio la volontà di conservazione dei principi sollecita l’ansia, il desiderio, del progresso delle istituzioni, dell’economia e della società al fine di rendere quei principi effettivi nel mondo che cambia.
In particolare, vita e vitalità appaiono inscindibili nella auspicata società attiva e perciò inclusiva. Innanzitutto in termini di cultura collettiva. Noi non ci rassegniamo alla tesi della inevitabile esclusione di molti cui destinare solo sussidi e non “canne per pescare”. La povertà assoluta non si assorbe con algide prestazioni monetarie da Roma ma con il calore relazionale del volontariato di prossimità. Senso della vita e senso del lavoro si alimentano reciprocamente. Ma può esservi vitalità economica e sociale senza vitalità demografica? E come avere vitalità demografica in società nelle quali si è perso il rispetto della vita con la propensione alla selezione eugenetica, con il rifiuto delle condizioni di fragilità, con l’accettazione del commercio dell’umano?
Ancora, può riprendere l’attitudine alla procreazione senza famiglie naturali tendenzialmente stabili perché unite in matrimonio, senza la convinzione che essa rappresenti il compimento delle persone e senza il rispetto della donna in particolare? Le politiche pubbliche opportunamente dispongono la tutela della dignità di ogni relazione affettiva ma, dal punto di vista dei sostegni fiscali, certi e duraturi, è necessaria la unicità della famiglia naturale orientata alla procreazione in quanto cellula riproduttiva della società e fondamentale ambiente educativo. Per non dire delle originali caratteristiche del nostro capitalismo familiare nel quale persino società oggi quotate o multinazionali leader nel proprio settore sono nate dal lavoro coeso di famiglie (numerose).
Come si può poi enfatizzare (giustamente) la sostenibilità ambientale senza riconoscere il primato della ecologia umana? Vi sono grandi compagnie multinazionali che per ragioni di reputation adottano codici di sostenibilità o programmi di tutela della diversity tra i dipendenti dimenticando di promuovere il materno attraverso servizi, aiuti monetari e soprattutto continuità di carriera.
Il circolo virtuoso delle economie libere si è sempre fondato sulla attitudine delle generazioni adulte ad accumulare risparmio e a cercare di farlo fruttare affidandolo, attraverso intermediari regolati, a robuste coorti giovanili per definizione orientate alla innovazione di lungo periodo. Al contrario, il rattrappimento demografico in molti Paesi occidentali ha incrementato la liquidità privata e ridotto la propensione al rischio d’impresa.
Tutto si tiene!
Osserviamo così, preoccupati, i contenuti del PNRR e i suoi faticosi percorsi di attuazione. Complici le insicurezze generate dalla pandemia, il Piano è stato disegnato nella distrazione della politica e senza una vera consultazione dei corpi sociali. È così pervaso dal ritorno dello Stato pesante e dal rifiuto del criterio di sussidiarietà che pure discende dai principi delle nostre radici culturali e ora è iscritto nella nostra Costituzione. Lo sviluppo dei servizi sociosanitari assistenziali territoriali è tendenzialmente affidato solo alle strutture pubbliche nonostante le esperienze del terzo settore, le politiche attive del lavoro sono occasione per il potenziamento dei burocratici centri per l’impiego mentre sarebbe più efficace la competizione con le agenzie per il lavoro, lo stesso incremento della ricerca è affidato alla accademia istituzionale o, al più, alle inefficienti forme miste tra pubblico e privato mentre la realtà evidenzia la capacità di grandi charities e di attività profittevoli. Contemporaneamente, permangono regolazioni complesse fondate sulla sfiducia nelle imprese.
Vi è perfino la tentazione di attrarre le grandi organizzazioni della rappresentanza di interessi nella dimensione pubblicistica che le ridurrebbe a burocrazie autoreferenziali. Dobbiamo invece difendere, come ci insegnava Marco Biagi, l’autonomia della società e quindi favorire la prevalenza dei contratti sulle leggi – cui riservare i diritti inderogabili – e delle relazioni collettive di lavoro più prossime, nelle aziende e nei territori, sugli stessi contratti nazionali perché occorrono regole sussidiarie, duttili e adattate ai diversi contesti. La fine della seconda rivoluzione industriale e delle sue produzioni seriali ha infatti determinato l’originalità di ogni lavoratore e di ogni impresa per cui ogni volontà di omologazione centralistica risulta non solo incoerente con i principi ma anche antistorica. L’esaurimento della ideologia classista consente ora di leggere naturalmente i rapporti di lavoro come intense relazioni tra persone. Il lavoratore oggi è richiesto di saper essere prima ancora che di saper fare. Ne deriva la legittima aspirazione ad essere coinvolto nelle decisioni aziendali e tutelato nella integralità dei bisogni e delle aspirazioni, a partire dalla prevenzione olistica della salute, dall’accesso continuo alle conoscenze, da una remunerazione collegata ai risultati e allo sviluppo professionale.
Il confronto con le nuove macchine intelligenti impone ancor più una solida formazione morale di partenza che solo la libertà delle scelte educative, attraverso meccanismi autenticamente concorrenziali, può garantire. Persone integralmente formate sono autosufficienti nei mercati transizionali del lavoro e risultano in grado di rifiutare la fuga dalla responsabilità cui le tentano gli algoritmi da un lato e i rischi professionali dall’altro. L’intelligenza artificiale può infatti capacitare ma non sostituire l’uomo cui spetta sempre, secondo il libero arbitrio, distinguere il bene dal male.
Tutto si tiene!
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi