Un mondo del lavoro in trasformazione. Appunti di viaggio sulle forme di lavoro senza contratto/6 – La pratica professionale tra formazione e lavoro

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Bollettino ADAPT 19 aprile 2021, n. 15

 

La pratica professionale e il suo quadro normativo

 

In Italia per accedere ad un ordine professionale, ovvero per ottenere il titolo afferente ad una predeterminata professione, spesso è necessario un precedente periodo di pratica.

 

Il periodo di pratica, altrimenti detto praticantato o tirocinio professionale, non è, per espressa previsione, un rapporto di lavoro subordinato (art. 6, comma 6, Dpr 137/2012) ma è, a tutti gli effetti, una forma di lavoro senza contratto, che, come tale, si svolge al di fuori di un preciso vincolo contrattuale.

 

Il quadro normativo di riferimento è quello dettato dal combinato disposto dell’art. 9, DL 1/2012 Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, art. 3, DL 138/2011 Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, e, in particolare, D.P.R. 137/2012 Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali, che individua i punti cardine delle cosiddette professioni regolamentate, di cui si fornisce un sommario riepilogo:

  • Per “professione regolamentata” si intende l’attività, o l’insieme delle attività, riservate per espressa disposizione di legge o non riservate, il cui esercizio è consentito solo a seguito d’iscrizione in ordini o collegi subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità; il “professionista” è colui il quale esercita la suddetta professione regolamentata;
  • È necessario un esame di stato per l’accesso alla professione regolamentata, in attuazione dell’art. 33 della Costituzione;
  • È previsto un albo nazionale per le singole professioni che riporti l’anagrafe di tutti gli iscritti per una opportuna consultazione;
  • È richiesta una formazione continua per il professionista, detta anche obbligo di aggiornamento, per garantire agli utenti, ma anche alla collettività, degli standard qualitativi elevati e idonei;

Infine e in evidenza, in ragione dell’oggetto di questo approfondimento, il D.P.R. 137/2012, all’art. 6, sancisce che “Il tirocinio professionale è obbligatorio ove previsto dai singoli ordinamenti professionali”; lo stesso “consiste nell’addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante, ed è finalizzato a conseguire le capacità necessarie per l’esercizio e la gestione organizzativa della professione”.

 

Nomen omen, il nominativo assegnato dal Dpr 137/2012 al periodo di pratica professionale, ovvero il “tirocinio professionale”, è evidentemente strettamente connesso al tirocinio di cui all’art. 1, comma 34 della L. 92/2012. Si chiarisce però che la specifica disciplina dei tirocini extracurricolari, ovvero le Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento del 2017, esplicitamente escludono dal campo di applicazione “i tirocini previsti per l’accesso alle professioni ordinistiche, nonché i periodi di pratica professionale”, anche se i contenuti e le caratteristiche, prettamente formative, attribuite dalla legge ad ambedue le esperienze, legano quest’ultime, almeno concettualmente.

 

La legge, quindi, individua una specifica disciplina per questo periodo di tirocinio/pratica che si discosta da quella precipua dei tirocini extracurricolari, assegnando agli ordini professionali un ruolo fondamentale nella definizione delle particolarità per ogni singola professione regolamentata, pur sempre all’interno del perimetro legale tracciato.

 

Nello specifico, ex art. 6 Dpr 137/2012, e art. 3, comma 5, DL 138/2011, il periodo di pratica professionale:

  • ha una durata massima di diciotto mesi (Circ. 23-C-2012, Ministero della Giustizia), con l’esclusione delle professioni sanitarie, di cui i primi sei possono essere svolti presso enti o professionisti di altri Paesi con titolo equivalente e abilitati all’esercizio della professione, o in concomitanza con l’ultimo anno del corso di studio per il conseguimento della laurea necessaria al percorso professionale, a patto che, la Corte di Cassazione ha chiarito (Corte Cass. SSUU n. 24379/2020), il praticante sia in regola con gli esami previsti dal corso di studi (la linea tracciata recentemente dalla sentenza in oggetto, che, va detto, tratta nello specifico la professione forense, si ritiene possa essere utilizzata come regola generale anche per le altre professioni regolamentate);
  • se interrotto “per oltre tre mesi, senza giustificato motivo, comporta l’inefficacia, ai fini dell’accesso, di quello previamente svolto”; mentre, se lo stesso è interrotto in presenza di un giustificato motivo, l’interruzione “può avere una durata massima di nove mesi, fermo l’effettivo completamento dell’intero periodo previsto”;
  • esige la presenza di un registro dei praticanti presso il consiglio dell’ordine o del collegio territoriale a cui si possono iscrivere solo coloro i quali hanno conseguito la laurea o il diverso titolo di istruzione previsti dalla legge per l’accesso alla professione regolamentata;
  • deve prevedere un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al concreto apporto del praticante forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio che, si specifica, deve essere trattato come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ex art. 50 lettera c) del T.U.I.R. (Circ. n. 326/1997, Ministero delle Finanze) e che “comunque non ha natura corrispettiva” (Circ. Inail n.16 del 4 marzo 2014), non generando, quindi, l’obbligo assicurativo Inail;
  • prevede un professionista affidatario, anche detto dominus, ovvero una sorta di tutor, che deve avere almeno cinque anni di anzianità di iscrizione all’albo professionale e che non può assumere la funzione per più di tre praticanti contemporaneamente;
  • può essere svolto in costanza di rapporto di pubblico impiego o privato, purché gli orari e le modalità ne rendano possibile l’effettivo svolgimento;
  • è soggetto alle stesse norme deontologiche e disciplinari per i professionisti dell’ordine professionale di riferimento;
  • comporta il rilascio da parte dell’ordine o collegio di competenza di un certificato di compiuta pratica che, decorsi cinque anni senza che vi sia stato il superamento dell’esame di Stato, perde di efficacia.

Si aggiunge che, ai sensi dell’art. 6, comma 9, Dpr 137/2012, sei mesi di questo periodo possono consistere nella frequenza, con profitto, di specifici corsi di formazione professionale organizzati dagli ordini o collegi di riferimento o da associazioni di iscritti agli albi e da altri soggetti, purché autorizzati dai consigli nazionali degli ordini o collegi di riferimento.

 

Spunti dettati da due ordini professionali

 

Di seguito si analizzeranno alcune indicazioni provenienti da due importanti ordini professionali coinvolti, ovvero quello dei Consulenti del lavoro e quello dei Commercialisti ed esperti contabili, cosiddetto ODCEC. Questa analisi vuole essere di ausilio per definire, con maggior precisione, alcune delle previsioni suindicate.

 

Con riferimento all’orario e modalità di lavoro, di cui all’art. 6, comma 5, Dpr 137/2012, Il Regolamento sul tirocinio obbligatorio per l’accesso alla professione di consulente del lavoro (Delibera n. 327 del 23 ottobre 2014) indica un orario minimo che deve essere rispettato per il corretto svolgimento del tirocinio professionale: “In particolare, il praticante è tenuto a frequentare lo studio professionale, mediamente, per almeno 20 ore settimanali durante il normale orario di funzionamento, sotto la diretta supervisione del professionista affidatario, partecipando così allo svolgimento delle attività caratterizzanti la professione di Consulente del Lavoro”.

 

Riguardo l’indennità economica prevista ex art. 3, comma 5, lett. C), DL 138/2011, il Regolamento dei Consulenti del lavoro, non specifica né un importo, né una periodicità, ma semplicemente che vige “l’obbligo di corrispondere al praticante un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio”.

 

Anche il Codice deontologico della professione a cura dell’ODCEC (agg. 11.03.2021) non indica periodicità e importo del rimborso, ma si differenzia prevedendo sin dall’inizio del periodo di tirocinio professionale il rimborso spese forfettario, specificando inoltre che “il professionista non mancherà di attribuire al praticante, il cui apporto sia di rilevante valore e utilità per lo Studio, somme, a titolo di borsa di studio, per favorire ed incentivare l’assiduità e l’impegno nell’attività svolta”.

 

Sulla corretta gestione dei periodi di praticantato, utili sono le precisazioni fornite dal Vademecum per il tirocinio professionale di Consulente del Lavoro (Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro in collaborazione con Fondazione Studi) che chiariscono come, in seguito all’inizio del tirocinio professionale “il professionista assume a pieno titolo la funzione di sostituto d’imposta ed il tirocinante di percipiente reddito rilevante ai fini delle imposte sui redditi”.

 

Sulla questione, è di assoluto rilievo anche quanto indicato dalla Commissione Tirocinio ODCEC di Roma: “Il tirocinio professionale è escluso da prelievo contributivo, quindi nessun adempimento Inps dovrà essere posto in essere” ma vi è “facoltà da parte del tirocinante di effettuare la pre-iscrizione alla Cassa di previdenza di competenza”.

 

Infine, con riferimento ai motivi di interruzione del tirocinio professionale ex art. 6, comma 7, Dpr 137/2012, la Circolare 01°/0231 bis dell’ODCEC chiarisce quali siano i giustificati motivi che consentono l’interruzione del tirocinio: “la sospensione è ammessa solo per gravi motivi (malattia, gravidanza, infortunio, servizio militare e servizio civile), di provvedimenti disciplinari nei confronti del dominus o del tirocinante […]”

 

Va detto che ogni professione regolamentata, e di conseguenze il relativo praticantato, sono soggetti a specificità proprie dettate dalla natura dell’attività professionale o dal correlato e necessario percorso di studi. Ad esempio, il Dpr 137/2012 individua, all’art. 10, delle disposizioni ad hoc per il tirocinio che precede la professione forense. Le indicazioni di cui sopra, quindi, hanno natura meramente esemplificativa per una migliore definizione della tematica.

 

Considerazioni finali

 

Rimodulare parte dei connotati dell’attuale periodo di pratica non sembra un’ipotesi inadatta.

 

Seguire il solco tracciato dalle Linee Guida sui tirocini extracurricolari, ad esempio per quanto riguarda il compenso minimo, prevedendo delle disposizioni più precise e rigorose poi derogabili in melius dai vari ordini professionali, appare un’ottima soluzione.

 

Il rischio, infatti, che il periodo di pratica si tramuti in una semplice “manodopera” gratuita o a basso costo, in ragione di una sorta di sacrificio professionale – se si vuol accedere ad un ordine professionale, si devono fare delle rinunce -, è elevatissimo (anche se sul punto vale la pena sottolineare quanto previsto dall’art. 6, comma 3, Dpr 137/2012: “Il professionista affidatario […] è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo funzionale alla sua finalità”).

 

La previsione, da parte della norma di riferimento (art. 3, comma 5, lett. C), DL 138/2011), di 6 mesi senza alcun obbligo di indennità/rimborso non trova una vera giustificazione (da qui, presumibilmente, la deroga da parte dell’ODCEC); invero, la potrebbe trovare unicamente nei periodi in cui non è resa alcuna prestazione lavorativa, ossia nei periodi di pura formazione, ricalcando l’esempio dato dall’apprendistato cosiddetto di primo livello ex art. 43 D.Lgs 81/2015 (ai sensi dell’art. 43, comma 7, D. Lgs 81/2015 “Per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo”).

 

Lavorare gratuitamente per apprendere, non è giustificabile né ora né mai, e a maggior ragione se la prestazione di lavoro è condizionata al possesso di alte competenze acquisite tramite un lungo percorso di studio come nel caso del praticantato, che, peraltro, precede un importante scoglio come l’esame di abilitazione professionale che rende incerto, o difficilmente programmabile, il raggiungimento della posizione lavorativa-professionale mirata. È innegabile, infatti, che il praticante, seppur privo di esperienza, possa fornire un contributo pertinente in ragione degli studi effettuati.

 

In aggiunta, ciò che appare inadeguato, è la mancata previsione legale di un compenso/rimborso minimo prestabilito, che potrebbe essere modulato anche prevedendo una progressione economica, sull’esempio di parte dei trattamenti economici per l’apprendistato dettati dalla contrattazione collettiva.

 

Non si discute quindi sul quantum, che potrebbe essere concepito come un importo quasi simbolico, al pari del tirocinio (Linee guida del 2017, punto 12), ma sul modus, che rischia di ledere alcuni basilari principi del nostro ordinamento, ma anche pregiudicare, ad esempio, uno dei macro-obiettivi dichiarati dall’Assemblea generale dell’ONU (Agenda 2030), ovvero la piena occupazione e il lavoro dignitoso per tutti, attuabili in particolare con il:

  • “Promuovere politiche orientate allo sviluppo, che supportino le attività produttive, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’imprenditoria, la creatività e l’innovazione, e che incoraggino la formalizzazione e la crescita delle piccole-medie imprese, anche attraverso l’accesso a servizi finanziari” (obiettivo 8.3);
  • “Garantire entro il 2030 un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per donne e uomini, compresi i giovani e le persone con disabilità, e un’equa remunerazione per lavori di equo valore” (obiettivo 8.5).

In conclusione, le criticità perduranti sull’attuale impostazione dell’indennità per la pratica, unite all’ipotesi di possibile smarrimento dell’intero bagaglio di pratica professionale immagazzinato dopo i periodi previsti dalla legge, ovvero i 5 anni previsti senza il superamento dell’esame di Stato ex art. 6, comma 12, Dpr 137/2012, o i 9/3 mesi in caso di interruzione di cui all’art. 6, comma 7, Dpr 137/2012, rischiano di rappresentare una scommessa per il praticante, più che una legittima programmazione personale e professionale.

 

Marco Tuscano

Consulente del lavoro

@MarcoTuscano

 

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