«Una delle sfide più acute e difficili provocate dalla crisi economica». Così ha definito la disoccupazione di lungo periodo il commissario europeo per l’occupazione Marianne Thyssen. Nel 2014, infatti, l’Unione europea contava 12,1 milioni di persone disoccupate da più di un anno (vale a dire il 5 % della popolazione attiva europea), esattamente il doppio rispetto al 2007. Il dato appare ancora più preoccupante se si considera che le persone in cerca di lavoro da oltre 12 mesi costituiscono la metà del totale dei disoccupati, mettendo in evidenza la dimensione strutturale del problema della disoccupazione di cui soffre oggi l’Europa.
Proprio per favorire il reinserimento dei disoccupati di lunga durata nel mercato del lavoro, la Commissione ha presentato lo scorso 17 settembre una proposta di raccomandazione del Consiglio con l’obiettivo di ridurre a 7 milioni il numero dei disoccupati cronici nel corso dei prossimi 7 anni. Il piano elaborato dalla Commissione prende le mosse dalle migliori esperienze in materia di politiche attive sviluppate dagli Stati membri durante la crisi. Esso propone azioni specifiche per potenziare i sistemi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, eliminare le barriere che ostacolano l’inserimento e la permanenza dei disoccupati nel mondo del lavoro e, anche, aumentare i tassi di copertura e presa a carico da parte dei servizi per l’impiego.
In particolare, la proposta di Bruxelles prevede, sulla scorta di quanto già sperimentato nella prima applicazione della Garanzia Giovani, tre misure concrete che gli Stati membri sono invitati a perseguire:
- incoraggiare l’iscrizione dei disoccupati di lunga durata presso un ufficio di collocamento, anche attraverso la diffusione di informative che chiariscano il ventaglio dei servizi offerti e la disponibilità dei centri per l’impiego a fornire al disoccupato un percorso personalizzato di reinserimento nel mercato del lavoro;
- effettuare, entro e non oltre i 18 mesi dall’inizio del periodo di disoccupazione, una valutazione individuale e approfondita di ciascuno dei disoccupati di lungo periodo iscritti, al fine di indentificarne esigenze e potenzialità;
- offrire un accordo di integrazione nel posto di lavoro (job integration agreement) a tutti i disoccupati di lunga durata registrati presso i centri per l’impiego, prima che questi raggiungano il diciottesimo mese di disoccupazione.
Il job integration agreement rappresenta un accordo in forma scritta che offre ai disoccupati un percorso di reinserimento lavorativo concreto e personalizzato. A seconda del caso preso in esame e dei servizi esistenti nei vari Stati membri, i contenuti dell’accordo di integrazione nel posto di lavoro possono prevedere attività di tutoraggio, assistenza nella ricerca di lavoro, iscrizione presso corsi di istruzione e formazione permanente, nonché aiuti per l’alloggio, per i servizi nel campo dei trasporti, dell’infanzia, dell’assistenza sanitaria e dell’integrazione. L’accordo deve inoltre instaurare un rapporto basato su diritti e doveri reciproci tra l’ente che si occupa della presa a carico e il beneficiario.
Ancora, per il buon funzionamento dell’accordo nel posto di lavoro, la Commissione raccomanda di riformare la governance dei servizi per l’impiego e delle politiche attive. Secondo Bruxelles, è dunque fondamentale istituire un unico punto di contatto (single point of contact), ossia creare un modello agenziale preposto alla gestione, al monitoraggio e alla valutazione delle politiche attive, degli ammortizzatori sociali e dei servizi per l’impiego. L’amministrazione di questo punto unico di contatto, che deve rappresentare un vero punto di riferimento per i disoccupati, non è necessariamente competenza esclusiva dello Stato, ma può essere partecipata dalle parti sociali e dagli enti locali. L’obiettivo è creare un forte raccordo tra sussidi, percorsi di reinserimento lavorativi e centri per l’impiego. Infatti, il buon coordinamento dei tanti soggetti istituzionali che operano nel mondo del lavoro permette di aumentare l’efficienza dei servizi ed estendere la presa a carico dei disoccupati, come dimostrano le esperienze virtuose di Regno Unito, Danimarca, Estonia e Germania.
La proposta della Commissione sollecita inoltre il coinvolgimento attivo delle parti sociali e dei datori di lavoro tramite partenariati con le autorità pubbliche. La raccomandazione esorta gli Stati membri a fornire un’ampia gamma di servizi e incentivi economici alle imprese che assumono chi è senza lavoro. Inoltre, la Commissione raccomanda l’elaborazione di soluzioni formative coerenti con le esigenze aziendali e finalizzate a garantire alle imprese il recruiting di personale dotato di competenze adeguate.
Gli Stati membri possono contare sui finanziamenti del Fondo sociale europeo (FSE) per implementare queste misure. È permesso anche l’utilizzo di altri fondi strutturali, tra cui il Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale (FEASR) e il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), soprattutto per quel che riguarda le opere di ammodernamento delle infrastrutture e dei servizi per l’impiego, la creazione di percorsi formativi e professionali, gli incentivi all’autoimprenditorialità e alle start-up.
Infine, la Commissione si impegna a collaborare con gli Stati membri per costruire degli indicatori per il costante monitoraggio e valutazione delle attività svolte. Il monitoraggio delle misure da adottare sarà comunque in parte effettuato sulla base di alcuni indicatori già esistenti nel Joint assessment framework, utilizzato a livello europeo per valutare i progressi della Strategia Europa 2020. La proposta di raccomandazione dovrà ora essere sottoposta al Consiglio e, una volta approvata, essere messa in pratica da tutti gli Stati membri.
Il piano della Commissione si inserisce nel quadro della più ampia agenda economica e sociale della Commissione Juncker. Così come l’esperienza di Garanzia Giovani, pensata dalla Commissione nel 2013 per incentivare l’occupazione giovanile, la raccomandazione mira a intensificare la creazione di posti di lavoro, la crescita economica e l’equità sociale in Europa. Il documento nasce da una consultazione pubblica tenutasi nella primavera 2015 in merito all’erogazione di servizi a favore dei disoccupati di lunga durata negli Stati membri. Dal dibattito è emersa l’urgenza di realizzare un approccio integrato alle politiche attive e di creare percorsi specifici per favorire la transizione dei disoccupati cronici nel mercato del lavoro, anche tenendo in conto i bisogni, le potenzialità e la storia lavorativa di quanti cercano un’occupazione.
Pur riconoscendo che la disoccupazione di lunga durata è profondamente connessa alla qualità del capitale umano e alla spendibilità delle competenze professionali, lo staff della Commissione attribuisce l’aumento della disoccupazione strutturale sia al progressivo deteriorarsi degli indicatori macroeconomici, sia alle molteplici barriere che rappresentano un impedimento all’ingresso dei disoccupati nel mondo del lavoro. Tra queste ultime, Bruxelles richiama i bassi tassi di registrazione presso i centri per l’impiego, la scarsa applicazione del principio di condizionalità, l’insufficiente dotazione infrastrutturale e finanziaria dei centri per l’impiego, la mancanza di coordinamento tra i servizi che erogano i sussidi di disoccupazione e quelli che si occupano di politiche attive. Ancora, l’incapacità di elaborare piani di reinserimento lavorativo personalizzati e la bassa efficacia delle pratiche di monitoraggio di tali percorsi pregiudicano la messa a regime di un sistema integrato di servizi capace di prevenire l’aumento della disoccupazione strutturale.
Tra gli individui più esposti al rischio di disoccupazione di lunga durata, l’Esecutivo dell’UE indica i lavoratori con basse qualifiche professionali, cittadini di paesi terzi e i disabili. L’eterogeneità di questo gruppo vulnerabile giustifica ancor più la necessità di implementare servizi personalizzati, piuttosto che adottare una strategia standardizzata one-size-fits-all. Prevenire il fenomeno della disoccupazione strutturale attraverso misure specifiche contribuisce ad una crescita economica sostenibile e rinforza la coesione sociale. Inoltre, carriere lavorative stabili e continue riducono la dipendenza di chi è senza lavoro dai benefici sociali, allontanano il rischio di povertà ed esclusione sociale, e soprattutto preservano la dignità umana.
La Commissione manifesta invero consapevolezza che l’adozione di questo pacchetto di misure non sarà di per sé sufficiente per garantire una efficace transizione occupazionale di quanti sono in cerca di lavoro: il piano di intervento sulle politiche attive deve cioè essere necessariamente affiancato da un robusto sistema nazionale di protezione sociale, da benefici a sostegno del reddito adeguatamente agganciati alla storia contributiva dei lavoratori, da investimenti in capitale umano e da una legislazione sul lavoro snella.
La proposta della Commissione porta a sistema, come anticipato, le migliori pratiche esistenti a livello europeo. Su questa linea si è mosso anche il Governo italiano che, dalla legge Treu del 1997 al recente Jobs Act, ha più volte avviato un tentativo di modernizzazione dei servizi al lavoro. I principi e le linee di azione sono in effetti da tempo note e tracciate nel solco della flexicurity. Il problema, in Italia come nei Paesi del Sud Europa, resta tuttavia sempre quello di come attuarli concretamente nella realtà del mercato del lavoro. La direzione insomma è da tempo tracciata anche se l’implementazione del piano Garanzia Giovani ha ancora recentemente dimostrato come il passaggio dalla norma alla prassi sia complicato e implichi una svolta culturale oltre che gestionale che ancora non c’è stata.
Elena Prodi
Apprendista di ricerca – ADAPT Junior Fellow
@Elena_Prodi