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Bollettino ADAPT 22 novembre 2021, n. 41
Dieci anni fa, l’8 novembre 2011, a causa di una grave malattia, moriva a soli quarantotto anni d’età Marco Fabio Sartori, indimenticato presidente dell’Inail, Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Era nato a Busto Arsizio (Varese) il 31 maggio 1963 e aveva percorso una brillante carriera, sia nel settore privato che in quello pubblico, prima di assurgere al vertice del più antico ente gestore del welfare del nostro Paese.
Come evidenziato in questi giorni dagli amici e da chi aveva avuto modo di seguirne la vicenda professionale e umana, emergono di Marco molti ricordi, di cui uno su tutti, quello di voler sempre prepararsi, documentarsi, studiare. Amante dello sport, rugby, paracadutismo, fu ottimo nuotatore a livello nazionale, non a caso la piscina comunale di Busto Arsizio è a lui intitolata.
Eletto deputato nelle file della Lega Nord nella XI e XII legislatura, fu componente della Commissione Lavoro nella prima e presidente della stessa Commissione nella seconda. Relatore nel 1995 della riforma previdenziale (la legge n. 335/95 passata alla storia come “Legge Dini”, che ha progressivamente indirizzato il nostro sistema pensionistico verso il metodo contributivo) dal 2002 al 2006 è stato componente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Nel 2008 fu nominato commissario straordinario dell’Inail per diventarne presidente dal 31 maggio 2010. In ogni suo incarico sapeva sempre dare il meglio di sé, grazie alla sua capacità – come detto – di confrontarsi e mettersi a servizio degli altri. Per queste sue qualità gli volevano bene politicamente anche da schieramenti diversi, perché sapeva che l’onestà e la preparazione devono essere pre-requisiti essenziali per un buon amministratore pubblico.
Tra i primi ad esprimere un sincero cordoglio per la sua scomparsa vi fu il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – forse il Capo dello Stato più sensibile al tema degli infortuni sul lavoro – che esaltò del presidente Sartori la “convinta passione civile, in particolare nel promuovere azioni di prevenzione per una più efficace tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”. È qui solo il caso di accennare che da Napolitano in poi tutti i presidenti della Repubblica, il primo maggio di ogni anno, sono soliti deporre una corona d’alloro al monumento di Vincenzo Vela “Le vittime del lavoro”, situato presso la direzione generale dell’Inail di Roma.
L’Inail non ha certo dimenticato il suo presidente, promuovendo varie iniziative come il concorso nazionale “Premio Marco Fabio Sartori”, destinato ai migliori cortometraggi o alle più coinvolgenti campagne di comunicazione sui temi della sicurezza negli ambienti di lavoro, concorso che riscuote anno dopo anno sempre più crescente successo, soprattutto fra i giovani.
Chi scrive queste brevi righe non ha avuto il piacere di conoscere personalmente Marco, ma di intrattenere – questo sì – una breve corrispondenza epistolare su temi che ci erano cari. Pressoché coetanei, entrambi laureati in Scienze politiche, singolarmente con una tesi in storia dei movimenti sindacali, condividevamo la comune passione per le origini del nostro Stato sociale. Nel 2010 gli mandai una ricerca sul novantesimo anniversario della nascita del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale unitamente alla notizia dell’intitolazione, a Genova, di una pubblica via dedicata a quel lontano primo suo titolare, il senatore Mario Abbiate, predecessore dell’allora ministro in carica, senatore Maurizio Sacconi. Nel ringraziarmi, mi rispose con una lettera – che tengo nei miei ricordi più cari perché scritta col cuore – in cui mi disse che era “importante per tutto l’Istituto che la memoria delle nostre origini non vada mai persa e sia patrimonio condiviso di coloro che, con passione e costanza, lavorano a favore di un sistema sociale intimamente legato alla storia imprenditoriale del nostro Paese”.
Proprio perché conosceva la storia, altamente qualificata fu la sua difesa dell’Istituto contro le proposte provenienti da più parti volte a togliere l’esclusività dell’Inail quale gestore pubblico dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali. Il presidente Sartori non solo richiamò la sentenza della Corte Costituzionale che nel 2000 non ammise a referendum il quesito riguardante la materia dell’abolizione del monopolio, ma sosteneva, a ragione, che difficilmente le compagnie private avrebbero potuto garantire allo stesso modo quei principi solidaristici che stanno alla base della mission dell’Inail. In regime di obbligo assicurativo ma con libera scelta dell’istituto assicuratore (così come previsto dalla legge istitutiva n. 80 del 1898) le compagnie private o i sindacati tra imprenditori, infatti, potevano valutare caso per caso la convenienza o meno della stipula di ogni singola polizza. Al netto delle poche misure di prevenzione allora adottate, le lavorazioni che presentavano maggiori rischi erano necessariamente contraddistinte da un rilevante numero di infortuni, col risultato di vedere i premi assicurativi aumentare notevolmente fino ad arrivare al rifiuto del cliente. Prima del monopolio era proprio così, come ben sanno gli storici del welfare, dovendosi accollare l’istituto assicuratore pubblico (allora denominato Cassa Nazionale Infortuni) i rischi più alti, quelli che le compagnie private tendevano ad escludere perché antieconomici. Forte del dettato garantito dall’art. 38 della Costituzione, in quella occasione il presidente Sartori seppe rilanciare: consapevole del ruolo strategico della prevenzione, volle fare dell’Inail il polo della sicurezza in Italia, ponendo al centro la persona, da prendere integralmente in carico fino al reinserimento nella vita sociale, prima ancora che lavorativa.
Nei suoi quaranta mesi di governo dell’Istituto fu apprezzato dai suoi stretti collaboratori, in particolare dal direttore generale dott. Lucibello, per il suo straordinario impegno e la sua infaticabile tenacia. Mandò, soprattutto negli ultimi giorni, i più difficili, un messaggio forte e chiaro, che sintetizza molto bene la sua missione: “Finché avverrà una sola morte sul lavoro, ci sarà da lottare”. Marco ha lottato fino alla fine per questo obiettivo, ecco perché la sua testimonianza è viva più che mai, soprattutto in questo tornante della storia dove forse riusciremo a vincere la piaga della pandemia, ma c’è ancora tanto da fare – è cronaca di questi giorni – per debellare il dramma degli infortuni sul lavoro.
Flavio Quaranta
Inail – Sede di Vercelli