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Bollettino ADAPT 11 dicembre 2023, n. 43
L’art.7 del DDL n.926 afferente il bilancio di previsione per lo Stato per l’anno finanziario 2024, nella versione c.d. “bollinata” prevede che “per i premi e le somme erogati nell’anno 2024, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività, di cui all’articolo 1, comma 182, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è ridotta al 5 per cento”. Si tratta della riproposizione, per un ulteriore anno, della misura agevolativa già applicata ai c.d. PDR (Premi di Risultato) erogati nel 2023, introdotta dall’art.1 comma 63 della Legge n.197 del 29 dicembre 2022. La temporaneità della nuova misura, riferita al solo 2024 quindi di carattere straordinario, ne lascia intendere la prevalente finalizzazione al sostegno emergenziale dei redditi da lavoro ed al rilancio dei consumi, per contrastare gli effetti delle dinamiche inflattive riscontrate nel biennio 2022/2023. Analogo obiettivo sembra attribuibile al previo provvedimento ed ai coevi interventi sul welfare, comportanti l’innalzamento delle soglie di esenzione fiscale e contributiva previsti dall’art.51 comma 3 del TUIR per i c.d. benefit (beni ceduti e servizi prestati ai lavoratori), riproposti anche dall’art.6 dell’attuale DDL.
Il nuovo intervento, analogamente a quanto avvenuto con l’agevolazione applicata nel 2023, anche in ragione della tempistica di emanazione sembra perseguire un obiettivo meramente anti-inflazionistico e anti-recessivo. Le erogazioni premiali del 2024, detassabili in quanto impostate secondo i criteri di valorizzazione dei miglioramenti della performance aziendale previsti dall’art.1 comma 182 della Legge n.208 del 28 dicembre 2015, conseguono infatti generalmente a risultati positivi registrati da indicatori riferiti al 2023, essendo l’erogazione posticipata alla loro consuntivazione. La pubblicazione della misura agevolativa al termine dell’anno 2023 non può quindi oggettivamente rappresentare uno stimolo alla contrattazione dei PDR, atteso che a fine 2023 i criteri di maturazione dei premi erogati nel 2024 sono oramai già stati concordati ed i valori già maturati. L’agevolazione produce necessariamente il solo effetto di rafforzare il potere di acquisto delle retribuzioni, incrementandone il valore netto limitatamente a questa singola componente.
Non sembra tuttavia pienamente apprezzabile l’efficacia di un intervento normativo così declinato.
La contrattazione collettiva, aziendale o territoriale, sebbene abbastanza diffusa non copre la generalità dei rapporti di lavoro ma una quota parte, con maggiore incidenza in alcuni territori, settori/comparti e per alcune dimensioni di impresa, come risulta anche dall’ultimo (luglio 2023) report ministeriale sui contratti depositati. Ne consegue un’applicazione disomogenea sulla popolazione dei lavoratori dipendenti, diversamente da quanto sarebbe realizzabile interessando una diversa componente retributiva, di fruizione generale: la tredicesima mensilità, gli incrementi retributivi tabellari dell’anno corrente etc. Inoltre secondo la consolidata interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, rinvenibile inizialmente nelle circolari 28/E del 15 giugno 2016 e 5/E del 29 marzo 2018, poi confermata e meglio precisata in varie risoluzioni, la aliquota sostitutiva 10% (temporaneamente ridotta al 5%) di cui all’art.1 comma 182 della Legge n.208 del 28 dicembre 2015 trova applicazione in presenza solo di un miglioramento dell’andamento di parametri, condivisi dalle parti contrattuali, assunti come riferimento e verificati rispetto ad un congruo periodo di osservazione. La detassazione agevola pertanto i lavoratori delle sole imprese performanti, che tuttavia possono paradossalmente avere minore interesse al sostegno al reddito rispetto ai lavoratori di imprese non performanti, che rischiano maggiormente il coinvolgimento in ammortizzatori sociali, la riduzione delle componenti retributive aggiuntive, anche minori tutele occupazionali.
Qualora invece inopinatamente l’intervento legislativo, nelle intenzioni degli estensori dell’art.7, intenda non sostenere il reddito da lavoro dipendente, ma proprio stimolare la contrattazione aziendale sui premi di risultato, per favorirne la diffusione nell’ambito dei criteri dettati dalla Legge n.208 e dalle correlate previsioni dei CCNL, allora forse sarebbe più utile un provvedimento di rafforzamento del sistema di decontribuzione. La maggiore accessibilità della riduzione delle aliquote contributive sui premi di risultato, attualmente vincolata all’attivazione di articolati e rigidi sistemi partecipativi illustrati dalla circolare AE 5/E del 29 marzo 2018 potrebbe infatti rappresentare un significativo stimolo motivazionale per i datori di lavoro, riducendo il costo complessivo del PDR, senza peraltro produrre significativi effetti sul trattamento pensionistico dei lavoratori, trattandosi comunque di una componente dall’incidenza ridotta sulla retribuzione imponibile complessiva. Infine si consideri che le dinamiche negoziali per l’introduzione/rinnovo dei Premi di Risultato, stante l’incertezza che contraddistingue la spettanza dell’agevolazione fiscale, dovendosi verificare per ogni erogazione l’andamento incrementale degli indicatori di performance, solitamente considerano il valore lordo correlato al risultato, non il corrispondente valore netto, troppo aleatorio. La contrattazione tende quindi ad assumere dinamiche che prescindono dal sostegno legislativo offerto con le modalità attuali, che l’art.7 del DDL si limita a rafforzare senza modificare.
In realtà le forti misure di sostegno al welfare c.d. puro ovvero non derivante dalla conversione di importi monetari premiali, già applicate nel 2023 e riproposte – con modifiche – dall’art.6 del DDL n.926, compatibili con la contrattazione aziendale nonché con eventuali concessioni unilaterali, sembrano poter perseguire con maggiore efficacia l’obiettivo di sostenere il reddito dei lavoratori a contrasto dell’inflazione. L’agevolazione è infatti più trasversale e con certezza di fruizione. Viene inoltre ridotto il costo del lavoro a vantaggio dei datori di lavoro, atteso che il welfare riduce l’imponibile non solo fiscale ma contributivo. Mancano comunque formule di raccordo o di complementarietà tra i due interventi (art.6 e art.7) che, finalizzati – ancorché con diversa efficacia – al medesimo obiettivo, riguardano tuttavia l’utilizzo delle medesime risorse aggiuntive aziendali, utilizzabili alternativamente per i piani di welfare c.d. puro o per i contratti aziendali sui PDR. Ne deriva conclusivamente l’impressione, anche per questo aspetto, di un difetto di programmazione generale nonché di coordinamento tra gli interventi agevolativi dedotti nel DDL.
Stefano Malandrini
Confindustria Bergamo