Una scuola a prova di quarta rivoluzione industriale? Punti di forza e mancanze dell’ultimo report del WEF

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Bollettino ADAPT 27 gennaio 2020, n. 4

 

Quali sono le indicazioni del World Economic Forum in merito al ruolo che i sistemi formativi possono giocare al tempo della quarta rivoluzione industriale? È possibile scoprirlo grazie al recente report “Schools of the Future. Defining new Models of Education for the Fourth Industrial Revolution”, pubblicato pochi giorni prima del tradizionale appuntamento svoltosi la settimana scorsa, a Davos, al quale hanno partecipano capi di Stato, imprenditori e ricercatori al fine di confrontarsi sulle sfide poste, a livello globale, dalla trasformazione del lavoro in atto, e sugli impatti da essa generati sulle diverse economie e società. L’analisi svolta dal World Economic Forum contiene elementi d’indubbio interesse e utili spunti, ma anche una notevole mancanza, come si avrà modo di evidenziare.

 

Già dal titolo del report è possibile intuirne l’obiettivo: descrivere le caratteristiche di un modello educativo in grado di rispondere alle sfide poste dall’innovazione, dallo sviluppo tecnologico e, in generale, dal futuro del lavoro. Punto di partenza è infatti la constatazione che i sistemi formativi “classici” e tradizionali, ancora oggi diffusi e pienamente operativi, rispondo ad esigenze e logiche connesse alla prima e seconda rivoluzione industriale, la quale richiedeva la disponibilità di lavoratori formati in modo uniforme, chiamati poi a svolgere mansioni routinarie, incentrate sul processo e non sul risultato, in un’ottica produttiva standardizzante. Da qui la stessa strutturazione dei sistemi formativi e le logiche pedagogiche messe in campo, che ricordano – a tratti – la fabbrica fordista, dal suono della campanella che scandisce le ore fino alla formazione frontale basata sull’apprendimento mnemonico e ripetitivo.

 

Una formazione di questo tipo è completamente scollegata da ciò che invece richiede la società contemporanea, in termini di competenze in grado di favorire l’occupabilità dei giovani e la loro cittadinanza attiva. L’obiettivo della formazione è infatti, secondo il report, duplice: essa deve tendere sì a garantire competenze e conoscenze cruciali nei moderni contesti lavorativi ma, allo stesso tempo, deve favorire l’emergere di quelle competenze oggi necessarie per una piena e consapevole cittadinanza in una società complessa come la nostra. Non si tratta, quindi, di piegare la scuola e l’università alle esigenze dei sistemi economici, ma di favorire processi di apprendimento in grado di dare ai giovani tutti gli strumenti – conoscitivi, sociali, personali – che possano aiutarli ad affrontare le sfide poste dalla quarta rivoluzione industriale e coglierne le opportunità.

 

Il report del WEF propone ai sistemi formativi di puntare su quattro tipologie di competenze oggi cruciali, adottando quattro metodi pedagogici innovativi per farle emergere. Queste competenze sono quelle legata alla cittadinanza globale, all’innovazione e alla creatività, quelle tecnologiche e quelle interpersonali. Con le prime si vuole rendere coscienti gli studenti della complessità del mondo globale contemporaneo quale orizzonte necessario ogni azione pubblica e sociale: basti pensare, ad esempio, al tema della formazione alla sostenibilità ambientale. Con le seconde, invece, si vuole equipaggiare i giovani di competenze fondamentali per il futuro del lavoro, e già ampiamente richieste: la capacità di innovazione, cioè la creatività, il pensiero critico, la capacità di ragionare e di guardare ai fenomeni in modo sistemico, cogliendo le relazioni e le interdipendenze tra di essi. In un contesto produttivo che punta al superamento di logiche standardizzate ed uniformi, torna al centro la capacità del lavoratore di sapersi adattare rapidamente al cambiamento, di cogliere spunti creativi e di capacitare così l’innovazione. Le competenze tecnologiche e digitali sono quelle più comunemente collegate alla quarta rivoluzione industriale, ma oggi necessarie anche al di fuori di ogni contesto lavorativo, in una società sempre più pervasivamente digitalizzata, a partire dalla comunicazione interpersonale fino all’accesso a servizi pubblici. Le straordinarie possibilità connesse alla diffusione di questi strumenti richiedono allo stesso tempo una formazione che ne sappia evidenziare i limiti e i possibili usi distorti, ad esempio in violazione della privacy. Infine, le competenze interpersonali, quali lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e la capacità di comunicazione interpersonale, sono cruciali in un mondo nel quale, da una parte, si incontrano diverse culture e tradizioni e, dall’altra, torna al centro la persona del lavoratore quale elemento cruciale lo sviluppo delle imprese, chiamato a collaborare, anche attraverso diversi linguaggi interdisciplinari, con altri colleghi e a lavorare in team.

 

Ma come formare queste competenze? Secondo gli autori del report, è necessario superare la logica formativa tradizionale e standard e sfidare i sistemi formativi all’introduzione di nuovi metodi pedagogici che, come sopra ricordato, sono principalmente quattro: personalizzazione dell’apprendimento, sua accessibilità ed inclusività, apprendimento collaborativo e problem-based, apprendimento continuo. Questi metodi fanno ampio ricorso all’utilizzo di nuove tecnologie, ma richiedono anche un ripensamento della relazione formativa tra discente e docente e, in un orizzonte più ampio, delle relazioni che le istituzioni formative costruiscono a livello territoriale con altre realtà, anche non direttamente collegate con il mondo della formazione. Personalizzare l’apprendimento significa superare la logica standardizzata oggi diffusa e proporre invece contenuti e richiedere contributi che sappiano valorizzare la creatività del singolo, mettendo al centro non solo le sue competenze mnemoniche, ma anche il suo spirito critico e i suoi interessi. Favorire l’inclusività e l’accessibilità dell’apprendimento significa invece introdurre un approccio blended, cioè caratterizzato dall’utilizzo di strumenti digitali e personali anche in spazi e tempi non riducibili alla classe e alla permanenza nell’istituzione formativa. Si vuole cioè superare, attraverso la valorizzazione dell’utilizzo di piattaforme collaborative online e di contenuti digitali liberamente accessibili, l’unità aristotelica di tempo e spazio tipica dei sistemi formativi ereditati dalla prima e seconda rivoluzione industriale, nei quali l’apprendimento ha luogo secondo tempi e spazi ben definiti e immutabili. Mettendo lo studente al centro del processo di apprendimento si ribalta questa impostazione, favorendo l’introduzione di tecniche che ne sappiano valorizzare gli interessi e che favoriscano l’acquisizione di conoscenze anche da esperienze scaturite in contesti non formali e informali. Superare l’ideale formativo trasmissivo e verticale è possibile anche introducendo metodi basati sulla risoluzione collaborativa di problemi, grazie ai quali i discenti imparano a collaborare, confrontarsi e proporre soluzioni condivise a problematiche complesse. Infine, in esito all’introduzione di questi metodi ciò che viene incoraggiato è anche la formazione di un habitus, di un modo di pensare e di approcciare i problemi improntato alla necessità di un apprendimento costante e continuo nel tempo, fattore critico per l’occupabilità nel contesto della quarta rivoluzione industriale. Introdurre questi metodi per favorire la formazione di competenze abilitanti la quarta rivoluzione industriale è possibile solo attraverso un’efficace collaborazione tra sistemi formativi e altri enti territoriali, ad esempio imprese che forniscono loro tecnologie innovative e piattaforme digitali per lo sviluppo di nuovi percorsi formativi, coerenti con quanto sopra richiamato.

 

È a questo punto che emerge il principale limite del report del WEF: quello di non proporre il superamento di una logica per la quale i sistemi formativi da soli progettano e realizzano percorsi di apprendimento, con altri enti – ad esempio le imprese – che si limitano, dall’esterno, a fornire supporto attraverso tecnologie o nuovi spazi didattici. Il report si limita cioè a proporre nuovi metodi, senza modificare la governance dei percorsi formativi, confermando quindi la convinzione che, anche nella quarta rivoluzione industriale, la scuola e l’università bastano a loro stesse. Manca quindi l’ultimo passo: quello di proporre, dove aver evidenziato la centralità di nuove competenze e aver indicato nuovi metodi pedagogici utili per favorirne l’emersione, anche una nuova logica di progettazione degli stessi percorsi, strutturata su una collaborazione solida e fattiva tra istituzioni formative e altre realtà territoriali, in primis il mondo del lavoro.  È solo attraverso questa nuova idea di collaborazione che è possibile sbarazzarsi di un’idea di formazione ancora rivolta ad un mondo ormai passato.

 

Si tratta, in conclusione, di rilanciare l’idea dell’alternanza formativa quale metodo capace di favorire la formazione integrale e quindi l’occupabilità dei giovani e, contemporaneamente, una diversa concezione di formazione e lavoro, per la quale questi elementi non parlano lingue diverse e tra loro non comunicanti, rimanendo rigidamente separati per tempi, luoghi e metodi adottati, ma invece si adoperano per costruire una nuova grammatica che ne favorisca il dialogo e la costruzione di percorsi partecipati e “duali”. D’altronde, non si può chiedere alla scuola di formare tutte quelle competenze, anche trasversali, che possono emergere solo dalla viva esperienza realizzata in assetto lavorativo, o che fornisca ai discenti tutto quell’insieme di tecnologie altrimenti accessibili, in un contesto non simulato, nelle aziende che li stanno concretamente implementando. Nel rapporto tra sistemi formativi e mondo del lavoro è quindi opportuno mantenere un giusto equilibrio, evitando sbilanciamenti: non ridurre cioè il lavoro conosciuto a scuola a semplice simulazione, o al contrario pensare la scuola e alla formazione come risposta agli input ricevuti dal mercato. L’equilibrio, grazie al quale è possibile far emergere le competenze indicate dal WEF e sviluppare appieno tutte le potenzialità collegato all’utilizzo dei nuovi metodi pedagogici sopra richiamati, sta invece nella costruzione di alleanze tra istituzioni formativi e mondo del lavoro, che va dalla progettazione, alla gestione e alla concreta realizzazione di percorsi duali e svolti secondo il principio e il metodo dell’alternanza formativa. Per raggiungere questi obiettivi è necessaria, allo stesso tempo, la riscoperta del valore formativo dell’esperienza lavorativa e dell’impresa, quale luogo educativo in senso pieno.

 

È allora sì fondamentale proporre un ripensamento dei sistemi formativi, accogliendo le proposte del World Economic Forum, che sappia valorizzare la formazione di nuove competenze e l’introduzione di nuovi metodi pedagogici, accompagnato però da una nuova cultura per le quali formazione e lavoro, assieme, costruiscono le competenze oggi cruciali per favorire il pieno sviluppo della persona, in grado di capacitarla a raccogliere le sfide poste dalla quarta rivoluzione industriale.

 

Matteo Colombo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@colombo_mat

 

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