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Bollettino ADAPT 18 gennaio 2021, n. 2
La complicata crisi di governo apertasi da pochi giorni attorno alle linee guida per l’impiego dei fondi del Next Generation EU potrebbe portare con sé una rinnovata attenzione al ruolo corpi intermedi in quella che è una delicata fase di contenimento della seconda ondata pandemica. Una nuova occasione per dimostrare la capacità di contribuire insieme alla gestione degli equilibri della vita socio-economica del Paese.
Complice la crisi stessa, questa capacità non può essere dimostrata sul piano dei processi di formazione della normativa; ruolo che le parti sociali hanno provato a rivestire a più riprese negli ultimi due anni e in particolare dall’inizio della pandemia. A prima vista infatti l’occasione ricorda quella giocata nel febbraio 2019, quando sindacati e associazioni datoriali avevano dato luogo a una movimentazione contro le indecisioni del governo Conte. La pandemia ha poi sparigliato le carte dei tanti tavoli col Governo aperti al seguito di quella iniziativa. Le parti sociali sono state quindi impegnate nel reclamare a più riprese l’audizione del Governo. Prima durante le fasi iniziali dell’emergenza sanitaria, poi in occasione degli Stati Generali indetti a Giugno da Giuseppe Conte; più di recente in occasione delle legge di bilancio e in ultimo proprio sull’impiego dei fondi del Recovery Found.
L’attenzione riservata da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria (solo per stare agli attori più presenti sulla stampa nazionale) verso la redazione delle linee guida contenute nel Piano di Resilienza e Rilancio non è certo impertinente. Secondo l’ultima bozza, 12,6 miliardi sono destinati alle politiche per il lavoro con focus sulle politiche attive e giova alla reputazione dei corpi intermedi il fatto che vogliano dire la voro in materia di nuove competenze e formazione dei lavoratori. Una linea, che vanta oltretutto autorevoli sostenitori esterni (si veda il recente intervento di Tiziano Treu al CNEL, secondo cui “La riuscita dei progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dipenderà dalla capacità e dal grado di coinvolgimento delle parti sociali e delle forze produttive del Paese”).
Per quanto necessaria, quella del Recovery Found è però una partita viziata da più fattori. Il metodo politico utilizzato per gestirla, a partire da un misteriosa “cabina di regia” di cui si sa poco o nulla, è quanto mai lontano dalla concertazione richiamata dalla Cisl o dalla democrazia negoziale promossa da Confindustria.
Ma soprattutto, le organizzazioni di rappresentanza non sono andate al di là di questo reclamo di metodo (accompagnato da mesi dalla comune antifona del “patto sociale”) e non si sono quindi fatte trovare preparate in un fronte comune, forte di una elaborazione progettuale condivisa (fanno eccezione alcune iniziative di settore, come la piattaforma programmatica per preservare l’occupazione nel settore del lavoro domestico firmata insieme dai sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs e Federcolf, e le associazioni datoriali).
Se qualche risultato politico sarà quindi raggiunto dalla parti sociali, anche in termini di consenso dei propri rappresentati e di reputazione nell’opinione pubblica, non lo sarà nell’immediato.
E’ invece sul piano dell’autonomia collettiva che può esercitarsi un’azione non sostitutiva, ma compensativa delle possibili distrazioni della politica di governo. Anche parte del sindacato sembra pensarla così. Per esempio la segretaria della Fiom Francesca Re David che ha usato questo frame per commentare la negoziazione in corso per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici (“Stiamo rinnovando il Ccnl Metalmeccanici […] mentre c’è una crisi della politica in piena emergenza pandemica che non parla alle persone e al Paese” ha detto a Coffe Break su La7).
Se ci si mantiene sul piano delle relazioni industriali, l’attualità offre un preciso rimando non al febbraio 2019 ma al marzo 2020, quando sindacati e associazioni datoriali erano state capaci di rendersi protagoniste di uno sforzo condiviso per porre le condizioni della continuità della vita economica siglando col Governo un protocollo condiviso sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Una scelta oltretutto non facile e anche impopolare per i sindacati, ma una scelta immediatamente efficiente nel porre le basi per la firma dei tanti protocolli a livello settoriale e aziendale che hanno poi in parte evitato nuove sospensioni delle attività produttive lo scorso autunno, quando si è trattato di contrastare l’inizio della seconda ondata epidemica.
É l’avvio delle campagne di vaccinazione a configurare una situazione simile a quella del marzo scorso. Oggi che l’armamentario delle misure anti-contagio può cioè contare sulla tanto attesa pallottola d’argento, non converrebbe quindi alle parti sociali affrontare per tempo, il controverso rapporto tra vaccinazione e attività lavorativa, e soprattutto farlo di comune accordo, come già successo mesi fa in materia di salute e sicurezza?
A dire il vero, le posizioni delle parti sociali che si sono esposte sul punto sono diverse. Alcune si sono espresse in direzione di un intervento pattizio. Il presidente di Confindustria Veneto Enrico Carraro si è detto favorevole ad un’intesa con le parti sociali con le quali sono già stati condivisi i protocolli sanitari. La Cgil delle stessa Regione si è espressa in direzione contraria ad un obbligo col dubbio possa portare alla giustificazione del licenziamento (questione comunque dubbia, si veda l’articolo di A. Tarzia Covid-19: il punto sull’obbligo vaccinale nel diritto del lavoro, in Bollettino ADAPT n.1 2021). Ma la stessa Cgil dell’Irpinia, pur condividendo il timore, si è invece detta “pronta a contrattare in azienda e a sottoscrivere protocolli in assenza di una norma”.
Rimettendo mano ai protocolli le organizzazioni di rappresentanza potrebbero contemperare diritti e doveri delle parti facendone eventualmente della vaccinazione un prerequisito per la prestazione dell’attività lavorativa, ma tutelando al contempo sia la libertà dei lavoratori di astenersi da tale trattamento, sia la responsabilità delle imprese. Se non fossero fugati così i dubbi interpretativi che animano il dibattito tra gli addetti ai lavori (si veda a riguardo il webinar ADAPT Obbligo di vaccinazione e licenziamento del lavoratore: cosa c’è di vero e cosa c’è da sapere), si tratterebbe quantomeno di una scelta che intercetterebbe l’opinione di quella che nei sondaggi fortunatamente risulta essere la maggioranza dei cittadini.
D’altro canto altre organizzazioni hanno invece affrontato il tema auspicando l’intervento di una legge e facendo affidamento, nel frattempo, sulle armi della persuasione. La segretaria della Cisl Annamaria Furlan intervistata da Repubblica si è espressa a favore di un obbligo di legge affermando che la Cisl “favorirà le vaccinazioni in azienda dando vita a una campagna di informazione”. Simile la posizione di Confapi, che ha proposto di promuovere le vaccinazioni nelle aziende incaricando della somministrazione anche i medici del lavoro.
Una posizione questa che fa i conti con i rischi di un’intervento sostitutivo ad un obbligo ex lege. Il primo rischio riguarda la possibilità che parte dei rappresentati non si riconosca tutelata da un’iniziativa che potrebbe essere mal interpretata da entrambe le parti (ritenendo per esempio che esponga al temuto rischio di licenziamento del lavoratore o alla responsabilità penale dell’imprenditore nel caso in cui la possibilità di vaccinare non sia garantita). Il secondo rischio riguarda invece l’incertezza del valore di un tale aggiornamento dei protocolli, in quanto non è pacifico che un intervento delle parti sociali modificando il Protocollo 24 aprile 2020 renda operativo ex lege un obbligo per via del rinvio operato dall’art. 29-bis del d.l. n. 23/2020 (si veda sul punto G. Piglialarmi, G. Benincasa, Covid-19 e obbligo giuridico di vaccinazione per il dipendente, WP Salus n. 1/2021).
A prescindere dallo strumento utilizzato, e a maggior ragione se la politica si attarda nel buio di divergenze strategiche, alle parti sociali converrebbe ad ogni modo dimostrare di sapersi muoversi in direzione unitaria verso la più importante delle luci nel tunnel Covid.
Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia