Verso una giusta transizione ecologica: il ruolo delle partnership

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 9 settembre 2024, n. 31
 
La transizione verso un’economia climaticamente neutra e a basse emissioni di carbonio rappresenta una delle principali sfide che l’Unione Europea si è proposta di affrontare negli ultimi anni, progressivamente implementando i propri impegni e azioni in merito. Tuttavia, è oramai largamente condiviso come questa trasformazione non possa essere sostenuta senza garantire che nessuno venga lasciato indietro. È in questi termini che, dunque, gli sforzi internazionali ed europei si sono sempre più indirizzati verso una transizione giusta, oltre che verde, implicando la necessità di affrontare sin dall’inizio le sfide specifiche che questo cambiamento comporta per determinati territori e gruppi (per una ricostruzione dei concetti si vedano P. Manzella, S. Prosdocimi, Le parole della Sostenibilità: la Transizione Ecologica, in Boll. ADAPT, 25 settembre, 2023, n. 32; P. Manzella, S. Prosodocimi, Le parole della Sostenibilità/2: la Transizione Giusta, in Boll. ADAPT, 2 ottobre, 2023, n. 33).
 
In tal senso, per sostenere regioni e gruppi vulnerabili nei processi di transizione sono stati sviluppati specifici fondi nonché meccanismi nazionali e comunitari con l’obiettivo di minimizzare gli impatti sociali ed economici negativi e garantire una transizione giusta e inclusiva per tutti. Tra questi, il Meccanismo per una Transizione Giusta (Just Transition Mechanism) si distingue come uno degli strumenti principali: per accedere ai finanziamenti previsti, gli Stati membri, collaborando con le regioni interessate, hanno elaborato i Piani Territoriali per una Transizione Giusta, che delineano progetti per affrontare in modo specifico gli effetti negativi della transizione verde attraverso un approccio basato sulla partnership.
 
Il report Anticipating and managing the impact of change – Creating a new social contract for the just transition: Is partnership working?, pubblicato da Eurofound, si è quindi proposto di esaminare come stia funzionando l’approccio partecipativo nella fase iniziale di attuazione dei piani, analizzando nello specifico l’aspetto della governance della transizione verde, e in particolare la scelta di chi è coinvolto, come vengono prese le decisioni e il momento dell’intervento dei portatori di interesse, elementi che indubbiamente influiscono notevolmente su come le azioni previste dai piani stessi vengono condivise, ricevute e implementate a livello regionale e locale. Le evidenze presentate si basano su casi studio condotti in otto regioni europee (Hauts-de-France – Francia, Renania Settentrionale-Vestfalia – Germania, Sulcis Iglesiente – Sardegna, Italia, Vidzeme – Lettonia, Slesia – Polonia, Savinjsko-Šaleška – Slovenia, Andalusia – Spagna) e Norrbotten – Svezia), attraverso interviste con rappresentanti delle autorità nazionali, regionali e locali, enti dedicati alla transizione giusta, partner sociali, organizzazioni della società civile e accademici.
 
È emerso, innanzitutto, che non esiste una definizione univoca e condivisa di “transizione giusta” tra i vari gruppi di interesse coinvolti nel processo di costruzione e implementazione dei piani nelle otto regioni analizzate. Pur sostenendo tutti gli obiettivi del Green Deal europeo e il principio fondamentale di non lasciare indietro nessuno, permane una certa ambiguità su cosa significhi e come debba essere realizzata la transizione. Da un lato, infatti, le autorità nazionali considerano la transizione giusta parte integrante del loro dovere di proteggere i cittadini, nel quadro degli impegni europei e internazionali. Le autorità regionali, invece, la interpretano come necessità di orientare lo sviluppo territoriale verso modelli basati su energie rinnovabili, affrontando al contempo le problematiche sociali. Ancora, le organizzazioni dei datori di lavoro ritengono prioritario il tema dell’occupazione e delle competenze, insieme alla necessità di garantire fonti energetiche accessibili per mantenere la competitività. I sindacati, invece, associano la transizione giusta alla creazione di posti di lavoro di qualità, al rispetto degli standard lavorativi, alla partecipazione dei lavoratori e a soluzioni concordate collettivamente. Le organizzazioni della società civile, infine, sottolineano l’importanza della trasformazione energetica, del coinvolgimento attivo dei cittadini, di un approccio olistico e di piani ben strutturati.
 
In secondo luogo, si evidenzia come le sfide e le opportunità della transizione siano strettamente legate al profilo socioeconomico delle regioni coinvolte. In particolare, le criticità più rilevanti riguardano l’inadeguatezza delle infrastrutture regionali a gestire la costruzione e implementazione di tali piani, che causa spesso lo scoraggiamento di potenziali investitori e un malfunzionamento generale dei settori economici coinvolti e dunque del rispettivo mercato del lavoro; fattori procedurali, quali la complessità dei meccanismi di finanziamento, la portata dei progetti e la rapidità dei cambiamenti, nonché molto spesso l’inadeguata preparazione dei soggetti che si dovrebbero occupare di tali piani; la mancanza di coordinamento tra i diversi livelli istituzionali, settoriali e geografici; il disallineamento di interessi, che si traduce in difficoltà di collaborazione piuttosto che in occasione di creazione di momenti e spazi d’incontro e confronto. Tuttavia, è evidente che i processi di decarbonizzazione possano rivitalizzare l’economia regionale, migliorare il mercato del lavoro e invertire le tendenze di spopolamento, che spesso caratterizzano i territori più altamente impattati dai processi di transizione, convertendo industrie inquinanti in imprese e settori verdi.
 
Il report si concentra, inoltre, sulla partecipazione degli stakeholders in merito alla costruzione condivisa dei piani. In particolare, i casi di studio evidenziano che gli stati membri hanno prevalentemente utilizzato i comitati di monitoraggio già esistenti, istituiti per la gestione dei fondi dell’Unione Europea, come principale organo di coinvolgimento dei portatori d’interesse nella definizione degli obiettivi e delle misure previste dai piani. Questi ampi gruppi multistakeholder, in alcuni casi, hanno sviluppato autonomamente i piani per la transizione giusta o, alternativamente, hanno delegato tale compito a gruppi di lavoro tecnici più ristretti. I paesi che avevano già intrapreso un percorso di decarbonizzazione, come la Francia, la Germania e la Spagna, hanno inoltre integrato il processo con documenti e contributi forniti da vari attori, tra cui le industrie, le associazioni datoriali e le parti sindacali, attraverso organismi nazionali o regionali competenti. Tuttavia, è significativo osservare come la partecipazione alla consultazione pubblica sia stata piuttosto limitata, sollevando numerosi interrogativi sulla necessità di maggiore chiarezza e migliore comunicazione degli obiettivi dei piani. Secondo gli stakeholder intervistati, infatti, il processo partecipativo si è configurato principalmente come una condivisione di informazioni piuttosto che un vero partenariato, a causa di limitazioni di tempo, dimensioni e funzionamento dei comitati di monitoraggio, nonché di una carenza di risorse e di chiarezza sugli obiettivi da parte degli attori coinvolti.
 
In ambito di relazioni industriali, il modello predominante di partecipazione in un paese non sembra inoltre influenzare significativamente il livello di coinvolgimento delle parti sociali nelle partnership nelle regioni esaminate. Ad esempio, sia l’Italia che la Spagna, pur caratterizzate da un regime di governance centrato sullo stato, con alti livelli di copertura della contrattazione collettiva e processi di contrattazione ben funzionanti, mostrano livelli di partecipazione ai piani completamente opposti tra le regioni analizzate. In generale, infatti, i partner sociali hanno percepito il processo partecipativo più come un esercizio di condivisione delle informazioni piuttosto che come una vera consultazione. Difatti, sebbene abbiano apprezzato l’opportunità di contribuire, molti stakeholder in Francia, Italia, Polonia e Slovenia hanno sottolineato la necessità di migliorare il processo, mentre alcune organizzazioni della società civile, specialmente in Germania, Lettonia, Polonia, Slovenia e in parte in Spagna, hanno incontrato difficoltà nel far sentire la propria voce, evidenziando discrepanze tra le priorità nazionali e quelle locali, e dunque risultando più critiche nei confronti del processo complessivo.
 
Per questi motivi, numerosi sono gli ambiti di miglioramento nelle pratiche adottate emersi dalla ricerca. È essenziale, in primo luogo, sviluppare un approccio più olistico e sistematico, dato che le numerose iniziative relative alla transizione giusta a livello nazionale e dell’UE possono risultare limitate per le autorità pubbliche, le organizzazioni e tutti i portatori di interesse che faticano a capire come i vari elementi siano interconnessi e si completino a vicenda. In secondo luogo, le procedure di pianificazione e attuazione dei piani dovrebbero garantire collegamenti più stretti fra le strategie nazionali e i settori, per evitare il rischio di duplicazione dei finanziamenti o di un utilizzo inefficace degli stessi. Ancora, identificare tutti gli stakeholder e coinvolgere le regioni o i gruppi vulnerabili, e talvolta poco presi in considerazione, è fondamentale, poiché alcune parti interessate potrebbero non aver avuto l’opportunità di esprimere le proprie opinioni e i loro interessi. Migliorare la qualità del coinvolgimento è altrettanto cruciale: la creazione di comitati di gestione o monitoraggio e meccanismi di discussione non garantiscono automaticamente un buon coinvolgimento dei vari attori. È quindi necessario che i comitati facilitino consultazioni significative e gestiscano i diversi interessi e punti di vista in modo tempestivo.
 
Risulta, inoltre, centrale la condivisione di buone pratiche: apprendere dalle esperienze di altre regioni può aiutare a evitare errori e adottare pratiche efficaci, soprattutto per i paesi che affrontano per la prima volta i processi di transizione verde e giusta. Infine, è cruciale rafforzare i legami tra gli attori nazionali, regionali e locali per garantire una risposta coordinata e sistematica alle esigenze regionali e locali, mantenendo un approccio integrato.
 
In conclusione, il report evidenzia l’importanza cruciale della cooperazione tra i vari stakeholders per sostenere e accelerare una transizione verde ed equa. La condivisione di conoscenze, esperienze e best practices tra i paesi si rivela indispensabile per affrontare le sfide comuni e cogliere le opportunità derivanti da questa trasformazione, così come risulta essenziale instaurare processi cooperativi fra tutti gli attori istituzionali, parti sociali e comunità per la progettazione e l’implementazione delle strategie di trasformazione e riconversione.
 

Sara Prosdocimi

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@ProsdocimiSara

Verso una giusta transizione ecologica: il ruolo delle partnership