Welfare aziendale – Trend di utilizzo e scelte di consumo: i dati dell’Osservatorio 2024 di DoubleYou

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Bollettino ADAPT 17 giugno 2024 n. 24
 
In assenza di una definizione legislativa, il welfare aziendale può essere definito come quell’insieme di prestazioni, opere o servizi, che l’azienda eroga ai propri dipendenti, in via unilaterale o per previsione di contratto collettivo, per favorire il loro benessere personale, lavorativo e familiare. Il principale riferimento normativo sulla materia si rinviene negli articoli 51 e 100 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), in cui vengono elencate quelle specifiche misure che, alla luce della loro rilevanza sociale e se erogate nel rispetto di determinate condizioni, sono escluse dal reddito da lavoro dei dipendenti e sono deducibili dal reddito di impresa.
 
Numerosi sono gli studi che segnalano come lo sviluppo e l’evoluzione di politiche aziendali di questo tipo, favorendo il benessere dei lavoratori, possono rappresentare un vantaggio competitivo per le imprese. Nello specifico, le politiche aziendali di welfare aiutano a migliorare i livelli di motivazione ed engagement dei dipendenti, caratteristiche che aumentano la capacità di retention, e allo stesso tempo migliorano l’attraction di nuovi talenti dal mercato.
 
Negli ultimi anni, dopo l’intervento strutturale della legge di stabilità del 2016, il legislatore è intervenuto in più occasioni sulla materia, con particolare attenzione verso i c.d. fringe benefit, ossia quelle misure (quali i buoni carburante, i buoni spesa e i buoni acquisto), che sono ricomprese nell’art. 51 comma 3 del TUIR e che, pur non avendo una piena rilevanza sociale, rappresentano spesso un “canale di ingresso” per molte imprese che scelgono di adottare politiche di welfare aziendale.
 
Con l’obiettivo di favorire i consumi e di fornire forme tangibili di sostegno al reddito dei lavoratori in risposta agli alti tassi d’inflazione, diversi interventi normativi hanno modificato la soglia di non imponibilità di tali misure, al di sotto della quale il valore delle stesse non concorre a formare reddito da lavoro dipendente. Nel 2022, con i decreti Aiuti-bis e Aiuti-quater, è stata innalzata la soglia, rispettivamente, da 258,23 € a 600€ e poi a 3000€. Nel 2023, il decreto Lavoro ha confermato la soglia di 3000€ per i soli lavoratori con figli a carico, con applicazione del tetto ordinario di 258,23€ per tutti gli altri lavoratori. Da ultimo, la manovra finanziaria 2024 ha previsto, per l’anno in corso, l’esenzione annuale fino a 1000 €, che sale a 2000 € per i lavoratori con figli a carico.
 
Al fine di comprendere i trend di utilizzo delle imprese e analizzare le scelte di consumo dei lavoratori, DoubleYou, società del gruppo Zucchetti che dal 2014 si occupa della gestione di piattaforme di welfare aziendale, ha pubblicato l’Osservatorio 2024, che fornisce una interessante analisi dei dati raccolti nel 2023 tramite le loro piattaforme, su un campione rappresentativo delle imprese italiane. In questa sede, si proveranno a riassumere le principali evidenze emerse.
 
Il campione dell’indagine
 
Il campione dell’indagine si compone di 2500 imprese, l’87% delle quali sono PMI e il 13 %[1] grandi imprese. Degli oltre 500.000 lavoratori del campione, l’83% lavora in una grande impresa mentre solo il 17% è assunto in una PMI. Le imprese presenti nel campione sono classificabili in 11 settori merceologici[2], con il settore industriale manifatturiero che rappresenta quasi 1 impresa su 3 e risulta sovrarappresentato rispetto al dato ISTAT (30% vs. 13%).[3] Questa caratteristica del campione è causa di uno squilibrio nella rappresentatività di genere dei beneficiari, dato che gli uomini rappresentano la maggioranza dei lavoratori nel comparto sovrarappresentato.
 
Quanto all’età dei beneficiari, l’analisi generazionale evidenzia che l’86% degli stessi appartiene alla generazione X (48%) e Millennials (38%) mentre, risultano meno rappresentate la generazione più anziana dei Baby Boomers (8%) e la più giovane generazione Z (6%)[4].
 
Le fonti
 
Dal rapporto emerge che le imprese provvedono al finanziamento delle prestazioni di welfare per i propri dipendenti facendo affidamento su diverse modalità, talvolta combinandole.
 
I dati raccolti dall’Osservatorio 2024, evidenziano che un utente su due beneficia esclusivamente di “welfare on top”, ossia di beni e servizi, non derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale e non necessariamente collegati a un risultato d’impresa, erogati a livello aziendale in via unilaterale o per mezzo di contratti collettivi aziendali o territoriali. Si tratta senza dubbio di un dato che mette in luce l’attenzione delle aziende nell’investimento in politiche di welfare aziendale, anche in assenza di specifiche previsioni della contrattazione nazionale. Il welfare on top rappresenta infatti parte di un budget fisso che le imprese destinano a forme di integrazione della retribuzione.
 
Nel campione esaminato, due lavoratori su tre beneficiano anche di altre fonti di erogazione oltre quella di welfare on top.
 
In primo luogo, si segnala il ruolo della contrattazione di primo livello. Al primo dicembre 2023, previsioni in materia di welfare aziendale sono presenti in 19 CCNL rappresentativi di circa il 20% dei lavoratori italiani[5].
 
Inoltre, occorre considerare le possibilità legate alla conversione del premio di risultato. Secondo le regole attualmente in vigore, infatti, i dipendenti, ove previsto dalla contrattazione di secondo livello, possono convertire il premio di risultato in beni e servizi welfare, beneficiando degli sgravi fiscali di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 51 del TUIR. In questo ambito, l’osservatorio presenta una evidenza particolarmente interessante.
 
Nel confronto con i dati dell’anno precedente, nel 2023 si registra una riduzione del 7% nell’utilizzo di welfare da conversione di premi di risultato. Questo dato può essere interpretato alla luce di due cambiamenti legislativi: il dimezzamento della tassazione dei premi di risultato erogati in forma monetaria dal 10% al 5% e l’abbassamento della soglia di non imponibilità dei fringe benefit a 258,23€ per tutti i lavoratori senza figli a carico.  In sostanza, da un lato si è resa più conveniente l’erogazione monetaria dei premi di risultato grazie al dimezzamento dell’aliquota e dall’altro si è resa meno conveniente la conversione dei premi di risultato in welfare poiché la riduzione della soglia di non imponibilità per i lavoratori senza figli a carico ha ridotto lo spazio di esenzione dei fringe benefits.
 
I valori erogati
 
Nel 2023, secondo i dati analizzati dall’Osservatorio, l’erogazione media[6] di welfare pro-capite è stata di 890€, in aumento del 6% rispetto agli 840€ del 2022, e di circa il 10% rispetto agli 811€ del 2021.
 
Utilizzando come chiave di lettura le dimensioni aziendali, l’osservatorio evidenzia che a disporre di maggiori volumi di erogazione di welfare on top e di conversione sono le PMI. Nello specifico, le PMI erogano in media 920€ di welfare on top (il 57% in più rispetto ai 590€ delle grandi imprese) e hanno un valore medio di 918€ pro-capite, di conversione di premi di risultato (l’11% in più rispetto agli 820 € delle grandi imprese). Questi dati suggeriscono che le PMI possono investire un budget più alto di welfare on top pro-capite, in quanto è destinato ad una platea più ristretta. La differenza tra gli importi medi di premi di risultato convertiti si fa più blanda e si può interpretare alla luce del fatto che i dipendenti delle grandi imprese, avendo a disposizione un più ampio ventaglio di servizi di welfare, hanno meno necessità di convertire i premi.
 
L’analisi generazionale indica che i valori erogati sono positivamente associati all’età del lavoratore. Le generazioni più anziane ricevono in media erogazioni più generose di welfare on top e scelgono di convertire valori più alti di premi di risultato. Gli importi dei premi di risultato e di welfare on top erogati, dipendono dai livelli di retribuzione, di inquadramento e di seniority aziendale, reiterando le differenze generazionali e di genere esistenti nelle organizzazioni. Nello specifico, tra la generazione più anziana e quella più giovane, i dati evidenziano una differenza del 38% sul welfare on top e del 30% sulla conversione dei premi di risultato. Allo stesso modo, le differenze retributive tra donne e uomini, determinano una differenza del 9% nel valore di welfare on top a sfavore delle lavoratrici.
 
I dati mostrano che in media le quote di welfare erogate sono più alte per i dipendenti con familiari a carico. Nello specifico, le erogazioni crescono in media del 20% per i beneficiari con due familiari a carico e del 50% per quelli con 3 familiari a carico. Questo effetto positivo è molto marcato nella generazione dei Baby Boomers (+150%) e decresce per le generazioni successive, X (+40) e Millennials (+15%) raggiungendo valori addirittura negativi per la generazione Z[7].
 
Preferenze e scelte di consumo
 
Alcune interessanti indicazioni arrivano infine con riferimento alle scelte di consumo degli utenti dei piani di welfare.
 
Sotto questo aspetto, l’Osservatorio registra innanzitutto un aumento delle scelte di consumo di buoni supermercato del 7% e dei buoni benzina del 4%, come riflesso delle necessità create dall’aumento dell’inflazione. Inoltre, diversamente dall’anno precedente, in cui il consumo di fringe benefit aveva superato il 60% per effetto dell’innalzamento della soglia di deducibilità, nel 2023 si è registrata una maggiore preferenza per altre misure, quali i rimborsi delle spese per viaggi e i versamenti in fondi previdenziali. Questo vale anche per i dipendenti con figli fiscalmente a carico che, pur godendo della soglia di deducibilità a 3000€ come nel 2022, hanno orientato, al contrario, le loro scelte di consumo verso rimborsi per spese d’istruzione e caregiving e spese per il tempo libero.
 
Dall’analisi emerge poi che i beneficiari di aziende di grandi dimensioni optano maggiormente per un consumo di fringe benefits, mentre i dipendenti delle PMI, che in media dispongono di erogazioni più generose, scelgono consumi legati a viaggi e divertimento che generalmente hanno un costo più alto.
 
Dal confronto generazionale si nota invece che, le generazioni più anziane concentrano le loro scelte di consumo maggiormente sull’istruzione dei propri figli e sulla previdenza complementare. In questa direzione, emerge ad esempio il fatto che i versamenti nella previdenza complementare crescono in misura sempre maggiore con l’avvicinarsi dell’età pensionistica.  Dato in linea con le statistiche COVIP 2022, secondo le quali l’età media di chi è iscritto a fondi di previdenza complementare è di 50,4 anni.
 
Non solo le differenze generazionali ma anche i più bassi valori di erogazione inducono i più giovani ad optare per l’acquisto di buoni spesa e attività nel tempo libero. In questa prospettiva, si nota che erogazioni più basse sono associate ad una spesa concentrata su poche voci quali fringe benefits, rimborsi e viaggi e divertimento. Al contrario, le spese con il valore medio più alto riguardano invece servizi welfare ad alto valore aggiunto: versamenti a fondi di previdenza complementare (536€) e rimborsi per il caregiving (342€). È doveroso notare che, i rimborsi per attività di caring e per spese relative all’istruzione dei propri figli si concentrano maggiormente nelle scelte di consumo delle lavoratrici, indice della responsabilizzazione socioculturale italiana della donna al ruolo di caregiver.
 
In conclusione, l’osservatorio 2024 di DoubleYou consegna agli addetti ai lavori e agli studiosi del welfare aziendale alcune evidenze di particolare interesse. Tra queste, sicuramente il fatto che le scelte di utilizzo e di consumo del welfare sono orientate, oltre che dai cambiamenti legislativi e dalle condizioni macroeconomiche, anche dagli importi di welfare spettanti, dato che importi più alti permettono consumi di servizi ad alto valore aggiunto. Un approccio più attento alle discriminazioni suggerirebbe inoltre di ponderare le differenze retributive di genere e generazionali nell’erogazione di prestazioni di welfare aziendale al fine di garantire, a parità di altre condizioni, un equo trattamento ed eque possibilità di scelte e di consumo per tutti i beneficiari.
 
Domenico Stucci

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

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[1] Dato sovrarappresentato rispetto al campione ISTAT nel quale rappresentano solo il 2%.

[2] Industria e manifattura; Commercio; Consulenza e servizi alle aziende; Software, media, digital e telco; Finanza e banche; Costruzioni e immobiliari; Sanità e assistenza; Trasporti e logistica; Istituti e ricerca; Alloggi e ristorazione; Altri settori (chimica, Energia, PA, ecc.)

[3] Secondo le rilevazioni ISTAT, le aziende del settore industriale e manifatturiero rappresentano il 13% del tessuto di imprese italiano, il campione dello studio presenta un’incidenza del 30%.

[4] La generazione Z è la più giovane e comprende tutti i nati dopo il 1997, a seguire in ordine crescente di età abbiamo la generazione dei Millennials che comprende tutti i nati tra il 1981 ed il 1996, le due generazioni più anziane del campione sono la generazione X e quella dei Baby Boomers nati rispettivamente tra il 1964 ed il 1980 e il 1946 ed il 1963.

[5] Per ulteriori approfondimenti si veda F. Maino, (a cura di) (2023), Agire insieme. Coprogettazione e coprogrammazione per cambiare il welfare. Sesto Rapporto sul secondo welfare, Milano, Percorsi di secondo welfare.

[6] Al fine di avere un valore medio il più possibile vicino alla realtà, sono stati esclusi dal calcolo i dati delle aziende con più di 15 mila beneficiari e le quote welfare inferiori a 150€.

[7] Dato da interpretare alla luce della scarsa rappresentatività della generazione in oggetto all’interno del campione.

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