Il welfare aziendale sta ricoprendo sempre maggior importanza e diventando una materia di interesse crescente per le PMI che, relativamente a questa materia, si trovano a dover affrontare problematiche diverse rispetto a quelle con cui si confrontano le imprese di grandi dimensioni.
Una di queste tematiche è la costruzione dei piani di welfare aziendale per gli amministratori delle società.
Il quadro normativo del welfare aziendale risulta oggi molto più chiaro e preciso del passato. La Legge di Stabilità 2016 ha introdotto numerose novità e ha delineato in maniera precisa le prestazioni, i beni e i servizi che possono rientrare nella disciplina del welfare aziendale, le modalità di erogazione e i criteri di accesso ai benefici fiscali previsti. Le novità relative al welfare aziendale non permettono di risolvere i dubbi relativi i soggetti che possono godere dei benefici fiscali e per questo motivo è ancora oggi incerto se tra questi soggetti possano rientrare anche gli amministratori delle società.
La prima indicazione che ci viene fornita dalla normativa riguardo i soggetti beneficiari è relativa al fatto che la disciplina del welfare aziendale è contenuta nell’art. 51, comma 2 del TUIR, all’interno del quale vengono elencate tutti i beni, le prestazioni, le opere e i servizi che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente. A partire da questa prima indicazione, se da una parte è possibile dedurre che il macro-ambito di intervento è quello dei lavoratori dipendenti, dall’altra si opera una prima formale esclusione di tutte le altre categorie di “lavoratori non dipendenti” che comunque prestano la propria attività lavorativa all’interno dell’organizzazione.
Una seconda indicazione, sempre proveniente dal TUIR, può essere rintracciata nell’espressione “erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti” che viene ripresa nei commi f), f-bis), f-ter) dell’articolo 51. L’inserimento di questa condizione costituisce un requisito fondamentale per permettere alle aziende di poter accedere ai benefici fiscali. In questo contesto, non risulta interessante discutere sulle possibili categorizzazioni che possono essere effettuate dall’azienda, ma è più rilevante notare come il legislatore preferisca utilizzare unicamente il termine “dipendente”. L’articolo 51 sembra quindi far riferimento unicamente ai lavoratori dipendenti, senza dare alcun tipo di informazione riguardo la possibilità o meno di prevedere un piano di welfare anche per gli amministratori.
Benché non sia preclusa la possibilità di essere dipendenti, gli amministratori sono sovente legati alla società presso la quale svolgono il proprio incarico tramite un contratto di collaborazione coordinata e continuativa in ragione della temporaneità dell’incarico. Come chiarito dall’articolo 2 del D.Lgs. 81/2015, in questo caso contratto di collaborazione non è soggetto ad automatica presunzione di subordinazione.
L’articolo 34 della Legge 21 novembre 2000, n. 342, si occupa del trattamento fiscale applicabile ai fini dell’IRPEF ai redditi derivanti dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Il comma 1, lettera b) di questo articolo inserisce, infatti, nell’articolo 50 (ex articolo 47) del TUIR la lettera c-bis), qualificando fiscalmente i redditi derivanti da tali rapporti quali “redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente”. Sempre all’interno del TUIR, nell’articolo 48-bis si afferma che: “ai fini della determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente si applicano le disposizioni dell’articolo 48 (ora articolo 51)”.
È quindi possibile utilizzare la medesima disciplina utilizzata per il reddito di lavoro dipendente anche per le collaborazioni coordinate e continuative. Questa possibilità viene confermata dall’Agenzia delle Entrate che, nella Circolare n. 67/E del 6 luglio 2001, afferma: “l’inclusione dei redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nell’ambito dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente comporta che, ai fini della determinazione del reddito, si rendano applicabili, per il richiamo operato dall’articolo 48-bis del TUIR, le disposizioni previste dall’articolo 48 (ora articolo 51) del medesimo testo unico in tema di reddito di lavoro dipendente […] Il comma 2 dell’articolo 48 (ora articolo 51) del TUIR, inoltre, contiene una elencazione tassativa di somme e valori che, se pur corrisposti in relazione al rapporto di lavoro intrattenuto, non concorrono alla formazione del reddito imponibile”.
L’Agenzia delle Entrate, per la determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, effettua quindi un rimando integrale all’articolo 51 del TUIR, non solo per gli elementi che costituiscono il reddito, ma anche per quelli che ne sono esclusi, aprendo quindi la possibilità, anche per gli amministratori, di godere dei benefici fiscali legati al welfare aziendale.
Questa possibilità sembra, inoltre, trovare conferma nella Circolare n. 28/E del 15 giugno 2016 che ha come obiettivo la chiarificazione della disciplina dei premi di risultato e welfare aziendale come previsti dall’articolo 1 commi 182-190 Legge di Stabilità 2016. All’interno della circolare, nella sezione relativa alla tassazione agevolata dei premi di risultato e delle somme derivanti dalla partecipazione agli utili, si afferma che “il tenore letterale della norma esclude che l’agevolazione sia applicabile ad altre categorie di soggetti, quali, ad esempio, i soggetti titolari di redditi assimilati al lavoro dipendente di cui all’articolo 50, comma 1, lettera c-bis, del TUIR”. Per quanto riguarda il welfare aziendale, invece, non viene posta alcuna limitazione a nessuna categoria di soggetti. Il motivo dell’esclusione delle “altre categorie” di lavoratori è illustrata nella circolare n. 49/E del 2008, par. 1.1 dove si afferma che: “poiché la disposizione fa espresso riferimento ai “titolari di reddito di lavoro dipendente” l’agevolazione è riservata esclusivamente a questi, con esclusione dei titolari di redditi di lavoro assimilato a quello di lavoro dipendente come, ad esempio, i collaboratori coordinati e continuativi, anche nella modalità a progetto”. L’elemento che porta all’esclusione dei collaboratori coordinati e continuativi è l’espressione “titolari di reddito di lavoro dipendente”. Questa espressione è presente nella disciplina dei premi di risultato ed è utilizzata per indicare i limiti entro i quali è possibile accedere alla tassazione agevolata. Nella disciplina del welfare aziendale non si fa mai riferimento ai “titolari di reddito di lavoro dipendente”. Per quanto concerne il welfare aziendale, sia nella normativa, sia nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate, si fa rimando alla “formazione del reddito di lavoro dipendente” per la quale bisogna far riferimento alle disposizioni previste dall’articolo 51, compreso il comma 2 e, quindi, comprese le agevolazioni previste per il welfare aziendale.
La scelta dell’Agenzia delle Entrate di porre all’interno della medesima circolare una limitazione esplicita per i redditi assimilati al lavoro dipendente esclusivamente per i premi di risultato, e non per il welfare aziendale, fornisce un’ulteriore prova a favore dell’estensione delle agevolazioni legate al welfare aziendale anche per gli amministratori.
Infine, un altro elemento che può dare valore alla tesi fin qui sostenuta può essere ricavato da quanto affermato dall’INPS. Nel Messaggio n. 33899 del 22 ottobre 2004, avente per oggetto il trattamento fiscale dei compensi in natura (fringe benefits) erogati ai titolari di pensione, viene operato un chiarimento sui beni e servizi che possono concorrere a formare il reddito da lavoro dipendente o assimilato. Tra questi beni e servizi vengono esplicitamente menzionate le opere, i servizi e le somme di cui all’art. 51, comma 2, lett. f), f-bis) del TUIR affermando che queste non concorrono a formare il reddito (non vi è nessun riferimento alla lettera f-ter) poiché tale messaggio è precedente alla sua introduzione). Quanto affermato dall’INPS va nella medesima direzione delle considerazioni fin qui svolte per le collaborazioni coordinate e continuative. Il fatto che le pensioni, a pari dei compensi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative, siano assimilate ai redditi di lavoro dipendente, fornisce un’ulteriore garanzia a conferma della tesi sostenuta.
La possibilità di concedere anche agli amministratori i benefici fiscali del welfare aziendale sembra quindi fondata, ma non è certo dimostrata. Sono infatti altrettanto solide le argomentazioni di chi oppone alle interpretazioni amministrative, di natura soprattutto tributaria, la lettera della norma, che riferendosi ai “dipendenti” richiama una categoria lavoristicamente identificata. Spetta ora anche al Ministero del lavoro, e non solo alla Agenzia delle Entrate, esprimersi in merito alla rilevante e diffusa problematica del welfare per gli amministratori di società operanti mediante contratto di collaborazione.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo