Sono periodi di grandi ed accelerati cambiamenti strumentali nel welfare. Cambiamenti profondi, dettati da nuova normativa e da nuovi strumenti “tecnici”.
Si pensi per esempio sul versante normativo a tutto ciò che è contenuto nella riforma del terzo settore, nella legge sul “dopo di noi”, nella sempre più estesa applicazione del welfare aziendale nelle nuove contrattazioni nazionali e locali.
Ma anche ai molti progetti di “ conciliazione” lavoro-famiglia, alle sperimentazioni in molte regioni di politiche attive del lavoro. E poi ancora i nuovi bandi sull’innovazione ed il welfare comunitario di molte fondazioni bancarie, la comparsa dei primi fondi di investimento “ sociale”. L’elenco potrebbe continuare a lungo.
Che dire di questo fermento e di questo movimento in corso?
Mi permetto di fare due semplici osservazioni e di sottolineare un esempio tra i tanti.
La prima osservazione riguarda lo strapotere del pensiero “tecnico-strumentale” che da anni ha investito il welfare e che continua inesorabile la sua corsa. Anzi, la crisi sembra aver accelerato questo processo. In tempi di tecnocrazia non può essere che così, con la consapevolezza però che gli strumenti in sé non possono sostituire i fini e che in mancanza di fini espliciti gli strumenti sono governati da fini impliciti. Questa riflessione riguarda entrambi i poli del fenomeno, quando vediamo agire sia pervicaci tecno-burocrazie pubbliche che innovativi strumenti tecno-digitali…
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